Nella «Terza Repubblica» Torriero sogna un'Italia che sconfigge i suoi spettri
Chi con candore si domanda: ma la seconda c'è stata? E chi, come Fabio Torriero, giornalista, saggista e direttore del periodico culturale «La Destra» disegna il profilo della terza. Già,la Terza Repubblica. Ci par subito di vedere scettici, cinici e disincantati (sono già legione e di giorno in giorno il numero cresce) che obbiettano: ma chi la vuole? Nel senso: ma davvero la classe politica lavora in questa direzione? Oppure si vuol rattoppare con le pezze di sempre (cambiano i nomi, i colori, le sfumature: resta la sostanza, che non è della migliore qualità) un vecchio, logoro abito? Che è poi quello di una democrazia nata male e cresciuta peggio, di un «manuale Cencelli» diventato la seconda carta costituzionale, di un sistema spartitorio grazie a cui i partiti si sono divisi a fette la società, di una Tangentopoli perenne e con lunghissime ramificazioni, di una diffusa mafiosità coltivata in serra piuttosto che estirpata, di un bipolarismo imperfetto con incorporata vocazione tripolare della magistratura o di parte di essa ecc. ecc.? Quando ci sono questi problemi da risolvere, mettersi a parlare di ingegneria costituzionale, di riforme, di federalismo, di presidenzialismo ecc. potrebbe quasi apparire uno squisito discettare del sesso degli angeli, quando ancora poco o punto abbiamo capito del sesso degli esseri umani e soprattutto dei barbari che sono - come sempre - alle porte. Gli interrogativi sono legittimi - così come legittima è l'osservazione - e se non temiamo di formulare il tutto a mezza strada tra il provocatorio e il qualunquistico, è perché Torriero, proprio in quanto lucido cultore di scienza politica e dunque, nella sua esplorazione, ispirato da un progetto che alla Grande Politica si richiama. È perché Torriero, dicevamo, sa di doversi misurare con la realtà. Dunque, sa che quei mali ci sono. Così come sa che possono essere curati. Meglio che «debbono» esserlo. Ma sa anche che se non si provvede a «rifondare» lo Stato, vale a dire le istituzioni e la società, i mali non si curano. L'etica «chiama» la politica e viceversa. Dunque, il «viaggio» che Torriero compie nella nostra memoria storica alla ricerca di antichi vizi ereditati nei secoli dei secoli, non vale solo come ripensamento critico del modo con cui l'Italia è stata fatta, ma anche come proposta operativa. «Il cosa c'è che non va» a livello di potere legislativo, esecutivo, giudiziario; la requisitoria sul grado di partecipazione «reale» dei cittadini alla vita dello Stato; lo scavo nelle carenze della pubblica amministrazione; il dibattito sulla evoluzione dei sistemi elettorali e dunque dei meccanismi di rappresentanza regionale, provinciale e comunale; l'incontro/scontro tra federalismo e presidenzialismo ecc. sono temi pertinenti al profilo «istituzionale» della Terza Repubblica, ma, proprio per questo, diventano anche carne, sangue e anima di una società italiana «rinnovata». Di una società che senta più «suo» lo Stato perché vengono attivati criteri «reali» di partecipazione che la investono di diritti, doveri e responsabilità. Di uno Stato che affida al Presidente del Consiglio l'onore e l'onere di esercitare la sovranità, in mezzo a una pluralità di soggetti federali che svolgono ben precise funzioni e che dal potere sovrano vengono garantiti nella loro autonomia. La scommessa di una modernizzazione efficace ed efficiente - quella a cui Torriero chiama la Destra - sta nella creazione di un «circuito» virtuoso di poteri che non confliggono. Questo, il «che fare». Sul «come fare» nell'ambito di una dialettica democratica che è, o dovrebbe essere bipolare, e in ogni caso propositiva e mai paralizzante, Torriero apre il dibattito. Fabio Torriero «La Terza Repubblica» Ed. Pagine 121 pagine, 8 euro