IL FILM DI MARGARETHE VON TROTTA
A Rosenstrasse le donne ariane salvarono i mariti ebrei
MARGARETHE von Trotta. Una delle personalità illustri di quello che, nei Settanta, avevamo definito Nuovo Cinema Tedesco fra le cui schiere, nell'81, vinse alla Mostra di Venezia il Leone d'oro con «Anni di piombo». Oggi, anche dopo molta televisione, torna al cinema con un film intenso, lirico ed insieme drammatico sull'Olocausto, visto però, come sempre nel suo cinema, dalla parte delle donne. La Rosenstrasse del titolo era infatti una strada di Berlino in cui sorgeva un edificio dove, nel '43, erano stati rinchiusi, dopo una retata, vari mariti ebrei di donne cosiddette ariane che invece, secondo una legge nazista ancora in vigore prima della «soluzione finale», avrebbero dovuto godere degli stessi diritti delle mogli. Come accadde a un certo momento a Rosenstrasse dopo una rivolta di quelle mogli. L'episodio, però, il film lo fa rievocare oggi dalla figlia di un'ebrea emigrata negli Stati Uniti venuta a incontrare a Berlino la donna non ebrea ma sposata a un ebreo che aveva avuto parte attiva, sia pure anche dolorosa, in quegli eventi. Il presente, perciò, con la ricerca e la memoria, e il passato con il suo strazio. Con personaggi incisi e forti, un clima teso in cui i due tempi trovano il loro equilibrio in uno stile realistico asciutto che sa sempre alternare, senza mai concessioni al patetico, i sentimenti alle angosce, le pagine disperate a quelle attraversate da bagliori di pallide speranze. Dando trepido rilievo, come al solito, specialmente alle figure femminili interpretate da attrici già più d'una volta incontrate nel grande cinema di Margarethe von Trotta: da Katja Rieman, la generosa non ebrea, a Maria Schrader, la figlia tornata a rivisitare le circostanze cui la madre aveva dovuto di aver salva la vita. Tra i pregi del film, la cupa fotografia di Franz Rath, attenta con sensibilità a ridarci i climi e i colori di quell'epoca.