Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

di GIAN LUIGI RONDI LE VALIGIE di TULSE LUPER, di Peter Greenaway, con J.

default_image

  • a
  • a
  • a

Barry, Italia-Gran Bretagna-Paesi Bassi, Spagna, Ungheria, 2003. PETER Greenaway, nel cinema inglese, si è sempre distinto per il gusto della sperimentazione. A livello delle immagini, soprattutto, privilegiando la pittura con i modi delle avanguardie, ma anche tra le pieghe della narrazione, affidata spesso a «giochi» sui numeri, ripetuti fino all'ossessione. Il pubblico non sempre l'ha seguito, ma un indubbio interesse, fra i cinefili, è riuscito a ottenerlo, specie in film come «Il ventre dell'architetto», «Giochi nell'acqua» e «L'ultima tempesta», costruito, questo, su una reinterpretazione visionaria della «Tempesta» di Shakespeare. Oggi va oltre, spingendo le sue ricerche sulle immagini, ma anche le sue invenzioni narrative, fino a limiti estremi. Dà il via, cioè, a una trilogia di cui questo è il primo film e il cui protagonista, Tulse Luper appunto, si affida a due metafore. Una, quella delle valigie, rappresentativa degli uomini della fine del Secolo XX che, nei loro continui spostamenti, si portano tutto con sé, idee, abitudini, culture. L'altra, quella delle prigioni, perché quegli stessi uomini, ovunque andavano, si imbattevano sempre in prigioni, o psicologiche, le proprie, o materiali, quelle imposte loro dagli altri. Ricompreso fra queste due metafore, il protagonista, dal Galles dov'è nato negli anni Venti, finisce in America tra i Mormoni alla fine dei Trenta, per tornare in Europa, ad Anversa, nell'imminenza della Seconda Guerra Mondiale. Spalleggiato da un amico, incontrando prima il sesso poi l'amore e finendo regolarmente, ad ogni tappa, in prigione. Il tutto, però, rappresentato, non solo puntando, come di consueto, sui numeri, ma operando di continuo all'interno delle immagini, con azioni multiple e narratori, intenti, nei loro riquadri, a enunciare o a spiegare. Con un labile filo conduttore e una assenza totale, e voluta, di coinvolgimenti psicologici. Certo, ancora un esperimento. Con il rischio, però, di respingere.

Dai blog