di ANTONIO ANGELI UN MITO nella storia della fotografia? La definizione va un po' stretta a ...
Con il suo obiettivo ha creato il «nudo d'arte» così come oggi lo conosciamo, lo ha nobilitato affrancandolo dal circolo vizioso della pornografia. «La parte più seducente delle donne? - amava dire - La caviglia». Helmut Newton, forse qualcuno non ricorda il suo nome ma tutti hanno stampate nel cervello le sue fotografie, è morto a 83 anni. E non in una casa di riposo. È morto venerdì notte come è sempre vissuto, esagerando: si è schiantato su un muro a bordo di una Cadillac impazzita a Los Angeles, sul Sunset boulevard (proprio quel viale del Tramonto celebrato nel film di Billy Wilder). Come tanti geni di quello che ormai è il secolo scorso, Newton ha iniziato la vita da profugo. Era ebreo e fuggì dalla Germania nel '38. Aveva 18 anni, era passato un mese dalla Notte dei Cristalli, quella in cui i nazisti misero in chiaro quale destino riservavano agli ebrei. Newton, che era nato il 31 ottobre del '20 a Berlino e a sedici anni era già allievo del grande fotografo Elsie Simon, si ritrovò prima a Singapore. Poi puntò sull'Australia dove prese la cittadinanza per potersi arruolare e combattere contro i nazisti. Restò comunque molto legato alla sua città natale, aveva recentemente annunciato che cedeva l'insieme delle sue opere a Berlino. Dopo la guerra visse a Parigi e a Montecarlo, ma non ha mai avuto radici profonde. Viaggiava molto, era un cittadino del mondo. Iniziò la carriera collaborando con la rivista «Vogue», in Francia. Negli anni Cinquanta furono in molti a capire che quel fotografo aveva una marcia in più e per Newton si spalancarono le porte delle più celebri riviste internazionali: «Playboy», «Elle», «Marie Claire», «Stern». Gli anni Settanta vedono il suo trionfo: lavora incessantemente guadagnando migliaia di dollari al giorno, diventa il maestro dell'erotismo raffinato. Fotografa Silvie Vartan con abiti di Yves Saint Laurent, immortala Catherine Deneuve in sottoveste di seta nera (per la copertina di un disco dell'attrice). Fra le sue modelle, Nastassia Kinski. «È stato difficile toglierle i vestiti - disse Newton con la sua pungente ironia - è una ragazza intelligente e sensibile». Ha conosciuto e fotografato (nude) le donne più belle del mondo. Eppure la donna della sua vita è sempre stata una sola: l'attrice e fotografa June Brunnell (più nota con il nome d'arte Alice Springs), che sposò alla fine degli anni Cinquanta. Forse nella vita privata il maestro dell'immagine è stato meno eccentrico di come si dipingeva, ma se si offriva al mondo lo faceva sempre per «bucare» la pagina, per affascinare, per catturare l'attenzione, sia con le foto che con le parole. «Ho sempre cercato un po' di scandalo, anche nei miei ritratti - disse - Mi sarebbe piaciuto essere un paparazzo». E anche: «Se c'è qualcosa che odio, è sicuramente il buon gusto: per me è una parolaccia». Meravigliose, gelide e senza tempo le sue donne. Sempre senza veli. Spesso in bianco e nero, statuarie, solenni eppure aggressive e beffarde. I suoi nudi sono proiettati verso il cielo, enigmatici e affascinanti e così sono anche le scenografie che sceglie: deserti desolati, grattacieli, auto super-lusso. Come la Cadillac che lo ha accompagnato alla morte. Resta un piccolo mistero attorno gli ultimi attimi della sua vita, come abbia fatto a finire su quel muro a folle velocità. Forse un malore, forse un semaforo non visto. Newton ammetteva di essere daltonico e di riconoscere a stento il giallo dal verde, il verde dal blu. Un giorno disse: «È per questo che faccio meravigliose foto a colori».