Il vino, una pittura del Bel Paese

ebbene, qual è oggigiorno il rapporto di questo santo e benedetto vino col territorio che lo produce? Il tema è interessante, a tal punto da motivare un Convegno, organizzato dalla Società geografica italiana che si è svolto ieri a Roma, al Palazzetto Mattei in Villa Celimontana, in collaborazione con l'Università di Cagliari, dove studiosi, geografi, giornalisti e produttori hanno affrontato il problema da una angolatura del tutto inedita: «Per una nuova geografia del vino: dal territorio che produce vino al vino che produce territorio». Tra il saluto di apertura del presidente della Società geografica italiana, Franco Salvatori, e le conclusioni di Giovanni Alemanno, ministro delle Politiche Agricole e Forestali, una giornata di dibattito e di studio, con tante domande cui si è cercato di dare una risposta; e per esempio se i vini moderni, più elegantemente imbottigliati, siano più buoni di quelli tradizionali, o solo più vicini al gusto attuale, più affini, o meno, alla nostra cucina, se più o meno simili fra di loro. Ma il dibattito ha inteso allargarsi anche ad altri aspetti; e come ha detto uno dei relatori, Cesare Emanuel (con una relazione del titolo «Sulle strade di Cesare Pavese») «se ad ogni luogo corrisponde un vino - pensiamo ai vari Champagne, Bourgogne, Bordeaux francesi, ai Chianti, Frascati, Franciacorta di casa nostra - negli ultimi anni si stanno affermando le premesse per ammettere che ci sono vini che producono territorio». Non più e non soltanto il vino fattore di mercato (noi produciamo, voi comprate, noi guadagnamo), ma anche un vino che «crea turismo, che fa cultura, che rispolvera o incentiva tradizioni». In che senso? «Pensiamo al rapporto stretto fra la Liguria e Eugenio Montale, tra le Langhe e Cesare Pavese, fra la Toscana e Indro Montanelli, oggi con un poeta sommo quale Mario Luzi, fra Tommasi di Lampedusa e la Sicilia, e si comprenderà facilmente come ognuno di loro sia al tempo stesso una metafora della propria terra, parte inscindibile di una filiera fatta di storia, di vita vissuta, oltre che di questa o di quella attività produttiva, cito Pavese che definiva Canelli la porta del mondo, ricordo quei suoi racconti, che chiamerei dei classici, e che avevano tra i protagonisti primari il vino e le vigne; ecco insomma il vino che diventa cultura, che riporta alla memoria valori magari dimenticati, il vino di conseguenza che crea dei valori aggiunti, che col suo forte impatto di marketing propaganda, valorizza, e di conseguenza produce un territorio anche là dove poteva essere del tutto sconosciuto, che so? in Australia o in questa o quella regione d'America». Riassumendo verrebbe fatto allora di dire: il vino come strumento di conoscenza di un paese anche nei lidi piu lontani? «Sicuramente è una delle sue grandi funzioni». Il che vuol dire che esiste una ragione in piu per gridare, e a voce spiegata «Evviva il vino».