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di ASSIA BAUDI DI SELVE LA MODA è donna.

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Come è possibile dunque che siano poche le consumatrici che si identificano nelle immagini delle campagne pubblicitarie di moda, così come rivelano i risultati della ricerca «donne nella fotografia di moda, fra produzione, rappresentazione e consumo», realizzata da Laura Bovone? «Oggi assistiamo ad un tradimento dell'identità e dell'immagine femminile», ha detto Silvia Costa, coordinatrice del gruppo pari opportunità, intervenuta al forum «Professioni della moda e scenari globalizzati», tenutosi nel Parlamento del Cnel (Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro), in collaborazione con l'Università Cattolica di Milano e con AltaRoma, è stata un'occasione di riflessione e di confronto sulla funzione e sul ruolo che il settore moda riveste. Dopo che Maria Pia Garavaglia, vice sindaco di Roma con delega alla moda, ha ricordato l'importanza del sistema moda italiano, costituito dal sodalizio tra Milano, per il pret à porter, Firenze per l'uomo e il bambino, e Roma per la Haute Couture, Stefano Dominella, presidente di AltaRoma, ha tirato un duro colpo alla moda low profile, portando l'esempio di Zara, che costa poco e usa tessuti sintetici. Il made in Italy invece è sinonimo di qualità. Ma purtroppo anche di costi elevati, pret à porter incluso. «Questo è dovuto ai costi che si devono sostenere per comunicare», ha detto Gigliola Curiel. Per essere competitivi sembra sia necessario far colpo. «Ma la sfida della competizione, della visibilità, deve necessariamente avvenire attraverso il travisamento del ruolo della moda e dell'immagine, non solo femminile?» chiede Silvia Costa. In fondo Cocò Chanel diceva: «Se una donna è mal vestita si nota l'abito, se è ben vestita si nota la donna».

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