Oggi con «Il Tempo» il film che Krzysztof Zanussi ha tratto dal dramma di Wojtyla
E' stato un eroe dell'insurrezione polacca, un pittore di talento, e poi un monaco. Nella Cracovia di fine '800 ha scoperto i poveri e ha deciso di vivere con loro, abbandonando l'arte per un saio grigio, le visioni pittoriche per la realtà degli ultimi. Frate Alberto, questo il nome con cui si è consegnato alla storia sociale e religiosa della Polonia moderna, è un testimone del Vangelo, un uomo libero, uno dei tanti esempi di santità proposti dalla Chiesa. Eppure la sua beatificazione è un evento che si può definire unico. Per la prima volta nella storia, infatti, un pontefice innalza agli onori degli altari il protagonista di un suo dramma. Giovanni Paolo II (era lui il pontefice) doveva avvertire l'eccezionalità della situazione. Quel giorno, dichiarando beato Adam Chmielowski, chiudeva un cerchio di relazioni che avevano definito la sua vita. Non era più un drammaturgo ma il primo Papa slavo nella storia della Chiesa, non scriveva più recensioni con lo pseudonimo di Andrzej Jawien ma encicliche che scuotevano il mondo. L'attore appassionato che recitava i versi di Slowacki nella "catacomba" di Debniki, nella Cracovia occupata dai nazisti, si era trasformato nell'atleta di Dio che gridava al mondo, e alla sua patria, di non avere paura. Sui prati all'ombra del Castello di Wawel, davanti alla sua Polonia ancora in "stato di assedio", Giovanni Paolo II sapeva che ogni sua parola aveva un peso: ai polacchi ingabbiati e umiliati dalla legge marziale imposta da Jaruzelski indicava un "ribelle", Adam, un eroe dell'insurrezione, della resistenza morale e culturale. Dal 1983 al 12 novembre 1989. Piazza San Pietro. La canonizzazione non è l'atto conclusivo del rapporto tra frate Alberto e Giovanni Paolo II. Adam, nell'esemplarità come nella drammaticità della sua esistenza, ritorna nell'opera e nel magistero del Papa. È archetipo dell'uomo autentico, che lotta, si dibatte, sin interroga e alla fine si arrende al Mistero. Adam, o dovrammo dire a questo punto Adamo, è ancora l'ossessione di Karol Wojtyla. I confini storici sfumano e rimane l'essenzialità della vita di Adam-Adamo, tutta giocata sulla scelta. È una creatura che vive il difficile dono della libertà. È l'essere umano che in ogni istante deve scegliere la Verità e con essa scoprire il dolore di appartenere ad un Altro, la dipendenza dall'Essere che lo fa. Adam o Adamo è l'uomo. E nel teatro di Wojtyla ritorna con una inevitabilità eloquente. Sarà Adamo, come vedremo, l'essere con un fine, la sostanza del dramma scritto da Wojtyla nel 1960, «La bottega dell'orefice». Ancora Adamo il nome del protagonista dell'ultima opera teatrale composta dall'ormai arcivescovo Wojtyla, «Raggi di paternità». E di nuovo, più vicino nel tempo, la figura di Adamo è evocata nelle ultime composizioni poetiche di Giovanni Paolo II, quel «Trittico Romano» nato dallo stupore di un vecchio di 83 anni per l'incredibile meraviglia dell'essere umano. Adamo quindi è la materia da cui Wojtyla drammaturgo trae ispirazione. Ma è anche l'oggetto di indagine del Wojtyla filosofo, il punto di partenza del Wojtyla teologo, la passione di Karol Wojtyla, sacerdote, vescovo e successore di Pietro. Per Giovanni Paolo II l'avventura umana è l'oggetto di ogni riflessione. La verità sull'essere creatura merita un'analisi che non può essere solo filosofica, ma deve investire ogni dimensione, e far approdare ad una qualche conoscenza dell'Essere-Creatore. Tutto parte dalla meraviglia, dallo stupore di fronte l'Adamo-Uomo, colui che è esigenza di compimento e anelito all'infinito. Scrive Wojtyla in Persona ed atto con linguaggio inequivocabilmente filosofico "L'uomo scopritore di tanti misteri della natura, deve incessantemente essere riscoperto. Ancora un salto nel tempo. Questa volta all'indietro. Quando Wojtyla conclude il dramma «Fratello del Nostro Dio», dal quale Zanussi ha tratto la pellicola oggi in vendita con il nostro quotidiano