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A Torino si riaffaccia la pittura figurativa

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XIV QUADRIENNALE

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Questo pomeriggio aprirà i battenti a Torino, nel palazzo della Permanente al Valentino, la seconda delle mostre «Anteprima» (la prima si è svolta a Napoli), manifestazione di esordio della XIV Quadriennale. Negli oltre 70 anni di vita dell'istituzione, è la prima volta - prescindendo da rassegne di taglio storico e didattico, destinate all'estero - che la Quadriennale allestisce le sue esposizioni lontano da Roma, eppure questa innovazione trova un suo aggancio nella storia, riproponendo in versione aggiornata quel dialogo con le varie realtà territoriali che le Quadriennali d'anteguerra, sotto la regia di Cipriano Efisio Oppo, attuavano mediante un organico sistema espositivo (le «Sindacali»), oggi irriproponibile. Così, dopo Napoli (un clamoroso successo, con oltre 20.000 visitatori), è la volta di Torino, una delle città italiane più attente all'arte contemporanea (basti pensare a realtà variamente prestigiose come la Galleria Civica d'Arte Moderna, la Fondazione Re Rebaudengo, il Castello di Rivoli, Artissima, l'editore Allemandi); una delle più vicine ai centri europei di elaborazioni della nuova creatività. La città ha accolto con grande interesse la "trasferta" della Quadriennale - lo si è visto chiaramente all'affollata conferenza stampa di ieri - come una sorta di pubblico riconoscimento per quanto Torino ha significato e significa per l'arte moderna. Del resto, la mostra è di quelle destinate a richiamare l'attenzione degli "addetti ai lavori" e quanto meno la curiosità di un pubblico non specialistico: 95 artisti (nella foto un'opera di Paolo Benzocchi), operanti nelle regioni dell'Italia centro-settentrionale, selezionati da cinque noti critici (Beatrice Buscaroli, Luca Beatrice, Flaminio Gualdoni, Alessandro Riva, Gabriele Simongini), giovani e talvolta giovanissimi, praticanti le tecniche più disparate, da quelle tradizionali della pittura e della scultura (queste stesse risolte con i materiali più disparati), alla fotografia, alle installazioni, ai video, alle elaborazioni digitali, perfino alle tarsie lignee. Insomma, una grande kermesse della nuova arte italiana. È possibile, affiancando quasi in un ideale dittico le due «Anteprime» di Napoli e di Torino, trarne un segnale di rotta? Nel suo testo in catalogo (editore De Luca), Gino Agnese, vulcanico (come può esserlo solo un napoletano verace, oltretutto di vocazione futurista) presidente della Quadriennale, invita alla prudenza, rinviando diagnosi e bilanci a quando sarà realizzato, nel 2005 e nella storica sede di Palazzo delle Esposizioni, il momento romano e conclusivo di questa Quadriennale delle novità. E tuttavia un motivo vistoso e sostanziale di differenza rispetto all'«Anteprima» di Napoli balza subito agli occhi ed è un'assai maggiore presenza della pittura (e della scultura), più esattamente della pittura d'immagine. Agnese s'interroga giustamente sul significato di questa emergenza: «È un puro caso? Oppure siamo alle avvisaglie di quell'eventualità - indicata anche da Dorfles, l'estate scorsa - per cui sarebbe possibile una sorta di riavvolgimento del tempo attorno a "un grande artista che, usando i linguaggi di una volta, tuttavia li sappia rinnovare completamente?"». Sia quale sia la risposta, probabilmente è già di per sé memorabile che una domanda di questo tipo venga formulata in una simile circostanza ufficiale. Questa prevalenza della pittura non esclude d'altronde in mostra, né può farlo in via teorica, l'esperienza di altre tendenze e di altri linguaggi. Lo ribadisce opportunamente nel suo meditato testo in catalogo Gabriele Simongini, che in particolare difende l'attualità e la persistente vitalità, dell'astrattismo che affonda le proprie radici nelle ricerche aniconiche del XX secolo.

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