di ENZA FERRI PER la psicologia la morte, come vissuto finale di un individuo, non è tanto considerata.
L'essere umano, unico tra gli esseri viventi, ha la consapevolezza che cominciare a vivere coincide col cominciare a morire. Anche se la vita e la morte non si incontrano mai: se c'è la vita non c'è la morte e viceversa, la paura della morte è sempre presente in modo latente, soprattutto in chi non vive pienamente la vita. Deprivazioni precoci, ovvero mancato appagamento di bisogni primari di contatto e affettivi, dovuti all'assenza temporanea, definitiva o incuria dei genitori, seppure accadano in uno spazio di tempo limitato, possono condizionare in modo a volte irreversibile, la vita affettivo-emotiva e fisica della futura persona. Queste carenze, secondo l'intensità e la soglia di tolleranza di ogni individuo, possono comunque indurre insicurezza nella personalità di base emotivo-affettiva, di qui la «paura di perdere». Nel qual caso non la morte, ma la paura della morte, specie delle persone care, diventa la «Perdita» per eccellenza. È così che anticipando la paura di morire, si può «morire un po' ogni giorno». Un altro tipo di deprivazione sociale è quello della solitudine che l'individuo di oggi può provare in mezzo alla folla. La corsa sempre più esasperata all'appagamento di bisogni materiali fa mettere in secondo piano o annulla i bisogni umani di comunicazione, spiritualità, amicizia, contatto, affettività, solidarietà, gioco...La ricerca dell'immortalità diventa così un mito in questa società consumistica, che sposta nel futuro la possibilità che abbiamo di vivere «qui ed ora» i nostri sentimenti e le nostre emozioni. Dalle antichissime credenze di origine orientale viene la teoria della Metempsicosi, dove le anime dopo la morte del corpo, si reincarnano ed ogni rinascita dovrebbe rappresentare l'espiazione delle colpe, fino alla purezza ed all'apertura totale dell'anima. L'Induismo ed il Buddismo propongono delle tecniche per liberarsi dal ciclo delle rinascite attraverso l'estinzione del desiderio o «nirvana». In questo caso non esiste la paura della morte, ma la vita stessa è considerata come interferenza alla possibilità di entrare a far parte di un «Tutto cosmico». Sembra che l'idea della metempsicosi sia nata dalla esperienza che in psicologia viene definita come «Déjà vu», ovvero dalla sensazione di aver già visto e vissuto precedentemente l'esperienza attuale, fenomeno spiegato come riattivazione al presente, di fantasie o sensazioni precoci inconsce. Se come spesso accade, anziché «essere vissuti» dalla vita potessimo viverla pienamente, scopriremmo che sotto l'Inconscio, ovvero il «campo di battaglia» dove per Freud si svolgono le lotte tra «Il Principio di vita» e «Il Principio di morte», nel più profondo dell'animo umano c'è creatività, stupore e gioia. Se potessimo o ci fosse concesso di riconnetterci, il nostro senso della vita sarebbe appagato ora, senza sperare in un altro tempo per vivere.