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di FRANCO CARDINI FRANÇOIS René visconte di Chateaubriand dorme su una roccia a picco sul mare, ...

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Nelle ore dell'alta marea, il suo scoglio diventa un'isola separata dalla cinta muraria della città; la pioggia, insistente e continua quasi tutto l'anno, sferza di continuo la croce di pietra incrostata dalla muffa sotto la quale dormono i resti del grande scrittore romantico. E nulla può esserci di più romantico di quel paesaggio di nubi che corrono, di mare mugghiante, di antiche mura corsare. Nato nel 1768, appena un anno prima dell'Imperatore, e morto ottantenne nel fatidico 1848 dopo averne viste le ceneri trasportate in trionfo da Sant'Elena a Parigi, Chateaubriand ha davvero interpretato la sua epoca: ch'è, in gran parte, ancora la nostra. Per questo l'autore dei Mémoires d'Outretombe, che ambientando i suoi romanzi storici in un Altrove esotico che spazia dalle Montagne Rocciose ai giardini misteriosi dell'Alhambra ha posto le basi dell'immaginario contemporaneo (il bisogno d'Identità, la nostalgia del Passato, il desiderio del Diverso), ci è ancora tanto familiare, tanto indispensabile. Anche se i liceali italiani non sono perseguitati dalla sua ombra come lo sono, invece, quelli francesi, per i quali egli occupa tutto in una volta il posto che da noi è tenuto da Alfieri, da Foscolo e da Leopardi messi insieme. Il giovane aristocratico provinciale infatuato di Rousseau e della sua idea d'una natura incontaminata, com'era obbligo ne fossero infatuati tutti gli adolescenti del secondo Settecento, in un primo momento aveva giudicato con favore la Rivoluzione: quasi tutti gli aristocratici lo fecero, convinti che essa avrebbe eliminato l'assolutismo regio e restituito alla nobiltà le prerogative perdute fin dai tempi di Richelieu. Fu il Terrore a vaccinarlo da quelle illusioni; in seguito, emigrato in Inghilterra e poi rientrato, aveva sognato seriamente che l'Impero sarebbe stato l'alba di una nuova rivoluzione cristiana in Europa. Il suo Génie du Christianisme, del 1802, è quasi coevo del Christenheit oder Europa di Novalis e specchio di speranze e d'illusioni tutto sommato non troppo diverse. Deluso da Napoleone, il nobile bretone se ne sarebbe distaccato fino ad aderire alla Restaurazione e al regime reazionario di Carlo X. Nel '30, all'avvento della monarchia liberale di Luigi Filippo, era troppo anziano per nutrire nuove illusioni. In fondo, aveva sempre simpatizzato per cause perse. Ma fin quasi alla fine conservò un forte, profondo amore per la vita e per la storia. Ora un grosso libro di 800 pagine, «Chateaubriand. Poésie et Terreur» dell'Accademico di Francia Marc Fumaroli (Editions de Fallois) lo rivisita in termini che ce lo rendono di nuovo davvero familiare, indispensabile, contemporaneo. Per tre ragioni, fondamentalmente: l'attrazione per la democrazia in quanto precario e instabile equilibrio di libertà individuale e d'eguaglianza sociale; la meditazione sulle radici cristiane dell'Europa e della Modernità; l'interesse per la giovane America. Fumaroli insiste soprattutto su un dato, che non ci aspetteremmo in quello Chateabriand che siamo abituati a considerare, non a torto del resto, un intransigente cattolico tradizionalista: la sua attrazione per il mondo calvinista passato attraverso il prisma anglosassone del moralismo guerriero di Cromwell. Difatti, il poeta che ha forse più d'ogni altro esercitato la sua influenza su Chateaubriand, specie negli anni dell'esilio inglese tra 1793 e 1800, è stato il puritano John Milton del capolavoro del quale, il Paradise lost, Chateaubriand ha fornito una traduzione francese divenuta classica. Attraverso Milton, la guerra eterna tra Bene e Male - con il suo Satana, romantico eroe negativo - viene trascritta in termini etici ed epici al tempo stesso. La giovane America puritana, riemersa con tanto forza all'indomani dell'11 settembre del 2001, ha ritrovato gli accenti di quell'etica e di quell'epica: e non stupisce certo che essi siano piaciuti, da noi in Europa e in particolar modo in Italia, a tanti catto

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