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di ANTONIO SPINOSA GALEAZZO Ciano sapeva che per lui tutto era finito sessant'anni fa l'11 gennaio del 1944.

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Tutto finito, e lo sapeva prima di Edda. Spesso lo ripeteva come un ritornello al prete e ai carcerieri «Il duce non vivrà a lungo dopo di me. Anzi morirà peggio di me». Aveva nascostamente ricevuto dalla moglie una fiala: credeva che contenesse cianuro di potassio, e non gli era arrivata che acqua. Sicché non poté scegliere come morire. Il processo: «Una tragica pagliacciata!», così gridava mentre dal carcere degli Scalzi lo trascinavano davanti ai giudici nella lugubre sala di Castelvecchio. Aveva perduto il suo tradizionale aplomb, quando negli anni gloriosi il suo abito grigio non faceva una grinza e un candido fazzoletto di seta si affacciava al taschino della giacca. Edda aveva ritrovato il suo amore per Galeazzo, e, fino all'ultimo, si era battuta contro la preannunciata esecuzione del marito. Era stato tutto inutile, anche il suo terrificante assalto al padre. E il padre, smarrendosi in un groviglio di cavilli giuridici, le diceva come la giustizia dovesse seguire il suo cammino regolare e come ciò non gli permettesse di interferire nell'istruttoria. «Siete tutti pazzi» gridava Edda sul volto di Mussolini «la guerra è perduta. Te ne rendi conto? E tu, e voi uccidete Galeazzo in queste condizioni?». Tutto inutile. Galeazzo, insieme ad altri quattro congiurati cadeva sotto il piombo del plotone d'esecuzione, nello spiazzo del poligono veronese del tiro a segno di San Proloco fra larghe chiazze di neve e folate di vento gelido, dopo due mesi e ventitre giorni di prigionia. Che bersaglio! Edda non aveva potuto incontrarlo che tre sole volte durante l'intera detenzione. Galeazzo — a cavalcioni sulla sedia dei condannati a morte, le mani legate alla spalliera — mostrava la schiena ai trenta militi della guardia repubblichina coi moschetti spianati. Prima che partissero i colpi fece in tempo a volgere la testa indietro — per un attimo con gli occhi sbarrati e perfino incuriositi nell'ultimo soffio di vita. Il suo grido implorante: «Mamma!» s'incrociò con quello imperioso del comandante del plotone: «Fuoco!». Cadde, la sedia ruzzolò. Per finirlo dovettero sparargli alla tempia altri due colpi ravvicinati di Beretta, una Beretta 7,65. Da due giorni Edda si trovava in Svizzera avendo attraversato i confini nelle misere vesti di contadina per sfuggire ai controlli. Aveva già posto in salvo i compromettenti diari antitedeschi del marito sui quali le SS avevano disperatamente cercatoi di mettere le mani per eliminare dalla circolazione gravi atti di accusa contro la politica guerrafondaia di Hitler. Da quei diari Edda aveva già strappato le pagine in contrasto con l'idea di Galeazzo che ella intendeva tramandare ai posteri un'azione forse superflua perché il marito aveva offerto di sé attraverso le quotidiane annotazioni diaristiche, un'immagine ben costruita per non apparire né un volgare traditore né un ministro di paglia.

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