Bobbio, l'intelligenza del dubbio
Di certezze - rivestite della fastosità del mito o edificate con la pietra del dogma - sono piene, rigurgitanti, le cronache della pseudocultura degli improvvisatori, dei dilettanti, dei propagandisti interessati. Cultura significa misura, ponderatezza, circospezione: valutare tutti gli argomenti prima di pronunciarsi, controllare tutte le testimonianze prima di decidere mai a guisa di oracolo dal quale dipenda, in modo irrevocabile, una scelta perentoria e definitiva». Questo scriveva Norberto Bobbio nel 1951. E a questo ideale di cultura egli ha improntato la sua vita di studioso e di maestro. Per lui i "chierici" tradiscono la loro missione quando trasformano il sapere umano, «che è necessariamente limitato e finito , in sapienza profetica» - con tutta l'arroganza e il dogmatismo che ne conseguono. Quella di Bobbio è stata una "filosofia militante" - e "la filosofia militante che ho in mente", affermava, «è una filosofia in lotta contro gli attacchi, da qualsiasi parte provengano - tanto da quella dei tradizionalisti coma da quella degli innovatori - alla libertà della ragione rischiaratrice». Questo non voleva affatto dire per lui che l'intellettuale debba essere super partes, giacché anche l'intellettuale ha il suo modo di decidersi, «purché s'intenda bene che egli non può decidersi che per i diritti del dubbio contro le pretese del dogmatismo, per i doveri della critica contro le seduzioni dell'infatuazione, per lo sviluppo della ragione contro l'impero della cieca fede, per la veridicità della scienza contro gli inganni della propaganda». Certo, l'uomo di cultura non può "appartarsi", solo che, precisava Bobbio, egli ha il suo modo di impegnarsi: «Quello di agire per la difesa delle condizioni stesse e dei presupposti della cultura». E v'è di più, perché al di là del dovere di entrare nella lotta, Bobbio reclamava per l'uomo di cultura anche di non accettare i termini della lotta così come sono posti, di discuterli e sottoporli alla critica più severa. In breve: «Al di là del dovere della collaborazione c'è il diritto della indagine». Con ciò Bobbio sentiva di camminare sulla strada, tra altri, di Spinoza e di Gramsci. Infuriava la guerra e Spinoza scriveva ad un suo amico:«Queste turbe non mi inducono né al riso né al pianto, ma piuttosto a filosofare e a osservare meglio la natura umana . Lascio, dunque, che ognuno viva a suo talento e che chi vuol morire muoia in santa pace, purché a me sia dato di vivere per la verità». E poi Gramsci, da uno dei Quaderni dal carcere : « Comprendere e valutare realisticamente la posizione e le ragioni dell'avversario ( e talvolta è avversario tutto il pensiero passato) significa appunto essersi liberati dalla prigione delle ideologie ( nel senso deteriore, di cieco fanatismo ideologico) cioè porsi da un punto di vista "critico", l'unico fecondo nella ricerca scientifica». Norberto Bobbio si è spento ieri a Torino, la città in cui era nato il 18 ottobre del 1909. Si laurea prima in Giurisprudenza e successivamente in Filosofia. Libero docente nel 1934, nel 1939 è professore di ruolo presso l'Università di Padova, e nel 1948 succede a Giole Solari sulla cattedra torinese di Filosofia del Diritto. Nel 1950 comincia il suo impegno nella Società Europea di Cultura. È nel 1955 che Bobbio fa uscire due sue raccolte di saggi che lo rendono noto al più ampio pubblico: Studi sulla teoria generale del Diritto e Politica e cultura. Altri suoi importanti studi apparsi nei quindici anni successivi sono: Giusnaturalismo e positivismo giuridico (1965); Saggi sulla scienza politica in Italia (1969); Una filosofia militante. Studi di Carlo Cattaneo (1969). Nel 1972 si trasferisce a Scienze Politiche sulla cattedra di Filosofia politica. Intanto, l'anno successivo, scrive per "Mondoperaio" un saggio dove egli nega l'esistenza di una teoria marxista dello Stato. Il dibattito che ne seguì fu serrato e di grande rilievo: Bobbio criticava l'all