Dal mito i veri volti dell'amore
Tutto si svolge in una stazione del métro e Nadia Fusini si serve di questa folgorazione per partire armi e bagagli in un viaggio della conoscenza all'interno del confronto d'amore, percepito e rigenerato attraverso mitiche e storiche figure che hanno vissuto, e consumato, quella favola bella, sottesa di illusioni, che ha nome amore. Proprio «I volti dell'amore» infatti è il titolo che l'illustre anglista ha voluto dare a questo percorso in bilico fra romanzo e saggio, i cui confini sono labili, misteriosi nella misura stessa in cui il referto narrativo nasconde e disvela misteri e segreti che appartengono alla psiche umana, ma poi se ne distanziano in virtù di un capriccio, di una impercettibile sensazione che si fa carne e materia per poi restituirsi subito, repentinamente, in un baleno, ai tracciati dell'insonscio, dell'anima diciamo pure, pilotata lungo le più difformi direzioni della nostra mente, da quel centro motore che nel cervello, e di lì pilota le nostre azioni, i nostri movimenti. Il mito, la leggenda, l'invenzione letteraria rappresentano un centro operativo (ci si perdoni l'orrore dell'immagine...), dal quale muovono gesti e scatti del nostro agire, e molto acutamente la Fusini individua la dualità in una favola antica, quella di Giuditta e Salomé: «Avanzano ognuna con due teste, la loro e quella tagliata dell'uomo che hanno voluto morto. Chi sono? E che cosa vogliono queste donne con due teste? Perché dell'uomo vogliono la testa? Perché non appetiscono altre parti del corpo»?. Dall'iconografia senza tempo la scrittrice trae temi e argomentazioni che poi trasfumano nella narrazione, con un punto di partenza essenziale che legittima ogni conseguente confronto: il volto rassenerante dell'«Annunziata» di Antonello da Messina o quello del Cristo sublimato dal dolore del volto, dal martirio fisico. Di qui, da questi due volti esemplari, pescando nel grande immenso mare della creatività, figurativa, musicale, letteraria, senza risparmio. Lungo il tracciato di fasi senza tempo, oltre la storia, perché amarsi e distruggersi vuol dire sollecitare il tormento e l'estasi al contempo, e perciò raffigurare la pluralità dei volti dell'amore, appunto, indice sicuro della nostra più vera essenza. Accostiamoci ad alcune di queste coppie, ne risulterà un diagramma, una partitura in cui suono e segno andranno a confondersi fino a restituire alla figura umana le sue più fascinose fattezze: Otello e Desdemona, la bisbetica domata Caterina e Petruccio, la Maggie Tulliver di George Eliot e il fratello Tom, il tormentato Ulrich, l'uomo senza qualità di Robert Musil, e Agate, Annabella e Giovanni di John Ford, e giù poi fino allo stravolto personaggio delle goethiane «Affinità elettive» Ottilia, e ancora a Hester, quel contenitore di odio e perversione de «La lettera scarlatta» a Salomé e Giovanni Battista, Giuditta e Oloferne, Medea e le sue atroci vendette, Dalila, Antigone, immortale figura sacrificale, sulla quale la Fusini ragiona e riflette a tutto campo: «Dichiara che sì, lei sapeva bene di andare contro la legge quando ha sepolto il fratello. Non ha paura, anzi gode dell'effrazione, si vanta del suo crimine, che chiama «santo», perché l'avvicina a chi ama davvero. Sfida Creonte: Ora che mi hai preso, che puoi fare di più che uccidermi?». A Creonte basta, è a suo modo un semplice ma anche un raffinato perché vuole seppellirla viva, lei che da viva si cura tanto dei morti, sarà una morta in vita, «una morta vivente, morta e viva insieme». L'amore e le sue infinite, inesauste incarnazioni, che formano un gigantesco prisma alla cui base gestualità e sentimento si coniugano fino a confondersi al punto che la parola non basterebbe più per descriverne la luce, ma anche l'ombra, la fine. Le angolazioni non rispettano l'infinito: amore passione, amore tormento, amore estatico e vendicativo, amore gioco e