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«Vermicino, l'errore peggiore. Arbore, la più grande scoperta»

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Correva l'anno 1982 e Biagio Agnes era l'allora potente direttore generale destinato a ricoprire l'incarico fino al 1990. Assunto nella sede periferica di Cagliari, nel 1958, Agnes ha scalato le vette del potere fino a divenire il condirettore dell'unico Tg esistente in passato, prima di assumere la carica di dg. Oggi che la Tv pubblica festeggia i cinquant'anni, l'ex dirigente, in Rai per quarant'anni, ricorda gli episodi più significativi della televisione di Stato. Nella cui compagine continua a credere fermamente. Dottor Agnes, cinquant'anni di Tv implicano anche un necessario rapporto con la politica. Come è mutata l'influenza dei palazzi del potere sul piccolo schermo? «Come tutte le grandi aziende, anche la Rai non può prescindere dalla politica. Mi riferisco però a quella con la "P" maiuscola, che equivale all'arte di informare, perché aiuta a comprendere quel che avviene nel paese, non è compromesso come, invece, lo è la "politica" con la "p" minuscola che trasforma in servi e pretende l'impossibile». Lei ha sempre creduto nel ruolo formativo ed educativo della Tv battendosi per quella qualità alla quale oggi il piccolo schermo sembra abdicare. Quali ritiene siano i mutamenti più significativi dal tre gennaio 1954 a oggi? «Nella storia della televisione, che, unificando il Paese, ha radicalmente mutato le abitudini ed il linguaggio degli italiani, si sono avvicendati molti mutamenti. Il principale, a mio avviso, è la maggiore responsabilità da cui erano animati, in passato, dirigenti, funzionari e semplici impiegati, probabilmente sostituita, oggi, da altre forme di rispetto nei confronti del pubblico. Ma la Rai sta dimostrando di resistere ad ogni cambiamento». Quali programmi non avrebbe mai pensato che approdassero in video, e quali, invece, avrebbe voluto promuovere nella sua qualità di direttore generale? «Per il passato, mai avrei voluto che andassero in onda trasmissioni quali la straziante diretta da Vermicino negli anni '80 quando morì il piccolo Alfredo Rampi. Nel mondo televisivo di oggi, invece, avrei evitato il Satyricon di Daniele Luttazzi e reality show come "Il Grande fratello". Vorrei, invece, che tornasse in video Renzo Arbore che ha mutato il linguaggio della Tv». Proprio durante la sua direzione generale Arbore ha condotto trasmissioni cult come "Quelli della notte" ed "Indietro tutta"». «È vero, ma erano in seconda serata. Mi è rimasto il rimpianto di non essere riuscito a farlo approdare nel prime time, nonostante ci fossero dei progetti avviati». Il momento più difficile della sua lunga direzione generale? «Certamente quando mi comunicarono il passaggio alla concorrenza di prestigiosi artisti come Baudo e la Carrà. Fortunatamente arrivò Adriano Celentano, un professionista di altrettanto prestigio il cui programma "Fantastico 7" raggiunse il 70% di share». Che cosa rimpiange della Tv del passato? «Mi chiedo perché non ci siano più le inchieste di Sergio Zavoli, i programmi di Enzo Biagi e perché non si possono realizzare più appuntamenti come "Novecento" che coniugano cultura ed informazione. Fortunatamente esistono anche oggi documentari di qualità come quelli di Piero Angela, di Alessandro Cecchi Paone, di Licia Colò e trasmissioni come "La grande storia in prima serata». Il suo nome è legato alla prima trasmissione di medicina della storia della Tv "Check up". Perché è sparita dal video? «Con Chech up, per la prima volta, i temi medici venivano raccolti in un'unica rubrica, con l'obbiettivo della divulgazione. La lunga durata ne evidenzia l'utilità. Peccato che questa Rai non abbia avuto la forza di volerla riproporre. Sinceramente non ne comprendo i motivi. Ma prima ancora di "Check up", nel 1975, l'unico Tg, del quale ero condirettore, ha ripreso con le proprie telecamere la prima operazione a cuor

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