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Assediati dal Moloch catodico che tutto livella verso il basso

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e io non posso che aggiungere il mio «happy birthday» alla Signora Tivù. E tuttavia, se la franchezza è consentita, confesso che questa «scatola» non l'ho mai amata. La trovo invasiva, prepotente e superficiale. Stupenda la battuta di Eduardo de Filippo, al funzionario Rai che gli telefonava: «Qui è la televisione». «Bene - rispose - Le passo il frigorifero». Come molti della mia generazione, sono un uomo della Radio. Avevo tre anni quando ne ho vista fabbricare una dall'ingegnere Ernesto, mio padre: una radio a galena. Questo non mi impedisce di confessare che per uno strano caso sono stato uno dei primi reporter ad apparire sul piccolo schermo. Che anno era? Mi pare il 1954, vivevo a Parigi. Successe questo: povera ancora di mezzi, la Rai cercava dei corrispondenti dalle grandi capitali. Il primo fu Ruggero Orlando; il secondo, Ettore Della Giovanna. Mascotte della banda, io fui pregato di iniziare la mia collaborazione intervistando un «divo» parigino, famoso anche in Italia; ed io scelsi Yves Montand. Ci demmo appuntamento al teatro Olympia, dove Yves doveva debuttare con un nuovo spettacolo. Ricordo che per l'occasione era venuta apposta una troupe da Roma: il capo-operatore era un ometto coi baffi, parlava come Alberto Sordi, ma senza la sua ironica leggerezza. Poi c'era il vice-operatore, il tecnico del suono, il vice-tecnico e una signorina magra, allampanata, sempre vestita di verde, che si presentava come segretaria di produzione. L'intervista sarebbe dovuta durare dieci minuti. Ma ci lavorammo tre giorni. Montand non ne poteva più, sbuffava, e mi prese da parte con aria accigliata: «Da noi basta un operatore con la macchina in spalla. Perché questo è venuto con tutta la sacra famiglia?» A mezzo secolo di distanza da quei giorni parigini, c'è una cosa che devo ammettere a mio danno: non ho mai pensato, neppure per un solo momento, che la tivù sarebbe diventata quel Moloch che ha poi condizionato la nostra vita. Solo adesso ci rendiamo conto che la sua superficialità hanno fatto tabula rasa di secoli di civiltà raffinata. Amico e sodale di Woody Allen, rimpiango come lui i «Radio Days» di cui racconta in un bellissimo film. Com'era stimolante l'Eiar della mia infanzia, quando volavo sulle onde hertziane insieme a Portos, Athos e Aramis nella trasmissione domenicale dei «Tre Moschettieri». Eppure credo che ci potrebbe essere una tv nobile e alta (come la politica, del resto). Ciò che fa acqua, non è il mezzo: sono gli uomini.

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