Dario Argento firma «Il cartaio» e si conferma maestro del brivido
DARIO Argento torna al giallo, accantonando quel cinema dell'orrore cui si era dedicato in tanti suoi film. E convince di più, anzi conquista, perché, qui da noi, non c'è nessuno come lui che sappia fabbricare macchine ad effetto per provocare brividi e suscitare tensioni. Siamo a Roma, in un commissariato. Un assassino seriale rapisce delle donne e promette di salvar loro la vita se, giocando a distanza a videopoker con questo e quel poliziotto sui computer, perde. Se vince, invece, le sgozza. Comincia la partita: sia per battere l'assassino, sia per localizzarlo, impedendogli di continuare. In primo piano, una donna poliziotta, con dei problemi con il poker perché il padre, accanito giocatore, si era ucciso quando era andato incontro a troppe perdite. Al suo fianco, un irlandese spedito da Londra per tutelare la vita delle turiste britanniche. Vi si aggiunge un ragazzotto che, conosciuto come imbattibile negli ambienti dei videopoker, viene ingaggiato dalla questura per tener testa all'assassino davanti al computer. Alla fine, dopo che molte donne saranno sgozzate, anche la poliziotta si ritroverà a tu per tu con l'assassino. Il quale, come di consueto, sarà almeno indiziato. Non importa se un secondo finale — consolatorio — risulterà pleonastico, come non importano (troppo) certi snodi narrativi non sempre logici e qualche personaggio di contorno senza il dovuto spessore. Importano e, appunto, conquistano, i modi con cui Argento, dipanando il suo intrigo, l'ha poi rappresentato all'insegna dell'incubo. In una cornice romana insolita se non addirittura inedita cui la splendida fotografia di Benoît Debie, presta, solo con la luce naturale, delle tonalità sempre inquietanti; con dei ritmi che sanno ricorrere a tutti i possibili effetti — speciali ma anche normalissimi — per far procedere l'azione a colpi di affanni e di sorprese, anche terrificanti, in cifre in cui è sempre l'angoscia a prevalere. Con l'abilità ora di insinuarla, ora invece di farla esplodere non disdegnando, in un finale con cui si torna al classico montaggio alla Griffith, l'arrivo di un treno con la protagonista ammanettata alle rotaie. A questa protagonista dà volto Stefania Rocca: con ferme decisioni.