di CARLO FABRIZIO CARLI DA PISANELLO a de Chirico, da Schifanoia alle Muse Inquietanti, e ancora ...
Transitano in modo appartato e signorile, nei momenti di fasto rinascimentale, ma anche nei tre secoli buoni in cui Ferrara appartenne allo Stato della Chiesa, tanto da poter essere annoverata da d'Annunzio tra le «città del silenzio» e da offrire l'ambientazione ideale ai celebri dipinti dechirichiani. Artefice delle fortune e del mito di Ferrara fu la dinastia estense, che dalla fine del '300 a tutto il '500, da Nicolò III a Alfonso II, morto senza eredi diretti, resse il piccolo ducato, collocato in posizione strategica e difficile, tra le opposte mire espansionistiche della Repubblica di Venezia e dello Stato pontificio. Con abile diplomazia, gli Este riuscirono a conservare l'indipendenza ferrarese, fino a quando, nel 1598, il cardinale nipote (di Clemente VIII) Aldobrandini, tramite un lodo non propriamente disinteressato, riuscì ad impossessarsi ad un tempo del ducato che passò allo Stato ecclesiastico, e di gran parte dello sterminato patrimonio artistico accumulato dagli Este e che entrò nella sua collezione privata, espropriandone l'ultimo degli Este, Cesare, figlio di un bastardo di Alfonso I. Una splendida mostra, aperta - fino all'11 gennaio 2004, ma si prevedono proroghe - a Bruxelles nel Palais des Beaux Arts, nell'ambito del Festival culturale Europalia ripercorre la memorabile vicenda della Ferrara estense. Curata da Jadranka Bentini e da Grazia Agostini, l'esposizione «Un Rinascimento singolare. La Corte degli Este a Ferrara» (catalogo Silvana editoriale) espone quasi trecento opere provenienti dai principali musei italiani, ma anche da importanti raccolte di altri nove Paesi (dal Louvre al Prado, dalla National Gallery di Londra al Kunsthistorisches viennese). C'è da augurarsi che la rassegna, chiusi che siano i battenti dell'edizione belga, non venga subito dispersa, ma possa essere allestita anche in qualche sede italiana. Anche perché essa propone autentici capolavori, che travalicano cronologicamente la fine dello Stato ferrarese per seguire idealmente, nel corso del '600, il ducato estense trasferitosi a Modena e Reggio. Ed ecco così dipinti di Lanfranco, di Guercino, di Domenichino, di Tiarini, di Crespi. Di particolare interesse riesce - relativamente alla quattrocentesca Officina ferrarese - la proposta di ricostruzione del grandioso e smembrato Polittico Griffoni, di Francesco del Cossa e Ercole de' Roberti, formulata da Roberto Longhi e confermata da scoperte e studi recenti. Non è superfluo riflettere sul titolo prescelto per la mostra: la singolarità del Rinascimento ferrarese trova molteplici conferme, a partire dalle peculiarità storiche e statuali del ducato. Ma, ancora più stimolante, riesce l'impronta anomala della pittura ferrarese, costantemente ispirata ad una stranezza, ad una bizzarria, che ne divengono così ingredienti qualificanti.