Caso strano: efficienza e dittatura
C.con due protagonisti assoluti, un tiranno e una superpotenza: uno è Dionisio di Siracusa, l'altra, la superpotenza che dilaga ordigni di guerra ovunque e su chiunque, è Cartagine, padrona assoluta dei mari come oggi lo si è dei cieli, e magalopoli mercantile senza troppo bisogno della civiltà mediatica. Manfredi coglie Dionisio poco dopo l'età dell'adolescenza e lo accompagna lungo un percorso suggestivo e drammatico, talvolta concedendo qualcosa alla fantasia del novellatore d'altri tempi, talaltra rispettando machiavellicamente il vero storico. L'uomo è intrepido, ha i comportamenti dell'eroe, si muove con disinvoltura fra armi e disastri: quelli di Salinunte per esempio, città e civiltà massacrate dalle troppe perplessità del potere democratico, e perciò punita oltre ogni limite umano. Cresce a dismisura lo sdegno di Dionisio ancor giovane, sale la rabbia che nutre in lui la triplice convinzione della inefficienza della democrazia, dell'ostilità cancerosa dei cartaginesi nei confronti dell'ellenismo (la sfida è fra barbarie e raffinata civiltà...), e infine l'autoelezione del protagonista a deus ex machina della situazione, l'unico e il solo. Tutto questo comporta la trasformazione della Sicilia a isola greca, ed è così persuaso della validità del disegno, il «tiranno», che ogni mezzo è valido per il buon fine da raggiungere. Si getta a capofitto nell'avventura, organizza il più grande degli eserciti del mondo antico a memoria d'uomo, è disponibile mostruosamente a condannare alla gogna la propria memoria di condottiero, e con un simile progetto nella mente, inizia la paziente edificazione della macchina da guerra e da conquista: devastanti pentere, navi da combattimento a cinque moduli di cinquanta rematori, una cinta muraria (quanto è corta la memoria storica, oggi si parla del famoso «muro» oggetto di diatribe insanabili...): tutto questo da parte di un uomo che è uno statista lucido ma anche un drammaturgo, un tiranno e un uomo creativo con il congegno della parola, che dovrebbe star lì, a difesa della ragione e dell'umano. Il poeta che lavora sulla parola, sull'émpito lirico si alterna all'uomo di guerra che intesse trame politiche che semmai castrano la parola e la ragione, ottundono la mente. È persino tenero nei risvolti in cui la ricordanza dolce lo conduce verso il primo amore, la soave, bellissima Arete. Il risultato di questo micidiale cocktail sono cinque guerre combattute contro i Cartaginesi, decine e decine di combattimenti, varie ferite sul suo corpo, massacro di nemici e amici poco fidati a suo giudizio, costruzione infine di uno Stato che raggiungeva comodamente l'estremità settentrionale dell'Adriatico. L'identikit di Dionisio dunque si avvale del supporto di una precisa documentazione storica: ma quanto più accertata è la prova testimoniale, tanto maggiore è il dubbio se Dionisio sia stato realmente quel mostro egocentrista e sanguinario descritto dalla Storia, o invece una figura che sprizza energia da tutti i pori, al punto da destare sgomento, o ancora un soggetto sovraccarico di energia tale da sospingerlo verso il sovrannaturale. Quest'ultima ipotesi non soltanto può definirsi umorale, ma anche fuorviante nei confronti di un verdetto ormai codificato che suona a condanna di lui e di tutti i tiranni di ogni tempo, senza che tale giudizio insindacabile incida sul fervore di una intelligenza volta al male e a quella sorta di aberrazione umana che risponde al nome di sogno, di conquista egemonica del mondo. Manfredi molto suggestivamente gioca sulla visionarietà del personaggio, e un tale indice viene utilizzato con grande forza