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Jane Campion Troppo sesso poca suspense

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Stupisce che ne sia responsabile la regista neozelandese Jane Campion nota finora per un cinema nobile («Lezioni di piano», «Ritratto di signora»). Un'insegnante di letteratura (Meg Ryan). Si sente attratta da un poliziotto (Mark Ruffalo) che indaga su un assassino seriale intento, come d'uso, a prendersela — e orrendamente — con le donne. Presto, però, in un clima torbido, finisce per sospettare proprio di lui, se non che, proprio mentre si accinge a denunciarlo, si imbatte in quello vero, ovviamente il meno sospettabile, e se ne salva per il rotto della cuffia. Attorno una New York da quartieri bassi, in ambienti sudici, tra gente sudicia. Non si può negare che, rappresentandoli, la regista dia prova di un linguaggio molto intenso, con ricerche visive, soprattutto cromatiche, che tendono allo stile. È il racconto in mezzo a non convincere: tronfio, fintamente letterario, con personaggi quasi tutti sopra le righe, specie quelli di contorno, e con quei due protagonisti ora travolti da una passione solo carnale, ora sconvolti, lei dal crescendo dei suoi sospetti, lui prima risentito da quei sospetti poi con reazioni ambigue fabbricate unicamente per suscitare gli interrogativi propri del genere sui possibili colpevoli. Un film contraddittorio in cui, nonostante quella firma, i difetti superano i pregi. Meg Ryan fa rimpiangere «Harry ti presento Sally», Mark Buffalo esibisce dei baffetti alla Clark Gable, ma il confronto lì si ferma. G. L. R.

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