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di VITTORIO AMELA QUALCUNO ha definito l'uomo «un animale che cerca il paradiso».

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Scrivere sempre meglio. Avere progetti ambiziosi, che m'illudano come scrittore». Ed è così che vive Vargas Llosa, nato 67 anni fa ad Arequipa (Perù), oggi residente tra Madrid e Londra, e il cui nuovo romanzo, appena uscito in Italia, s'intitola «Il paradiso è altrove» (Einaudi). Racconta i due diversi - ma entrambi sfortunati - cammini percorsi da Flora Tristán e da suo nipote Paul Gauguin in cerca del proprio paradiso. Pur non avendo potuto conoscersi di persona - Flora, figlia di un peruviano, visse dal 1803 al 1844, Gauguin dal 1848 al 1903 - nonna e nipote furono uniti da un medesimo anelito a trovare il paradiso: per l'una, pioniera del femminismo e dell'operaismo, si trattò di un paradiso collettivo; per l'altro, che abbandonò l'Europa per vivere da «buon selvaggio» a Tahiti, di un paradiso individuale. Dunque Llosa, ci sono due modelli di paradiso, quello collettivo e quello individualista? «Sì, sono due utopie, due sogni. Alcuni aspirano a costruire la società perfetta, fondata su giustizia, eguaglianza e libertà sociale; altri la sovranità individuale, il proprio diritto al piacere». Due paradisi che si escludono a vicenda? «L'ideale sarebbe che l'individuo vivesse in società senza essere soffocato dalla collettività, mantenendo la libertà di scegliere secondo i propri desideri». Per questo lei è tanto accanito contro Fidel Castro ? «Sì. Sostenni quella illusione nei suoi primi quattro anni di vita. Commisi un errore. Perciò sento di avere una responsabilità morale verso Cuba, dove vorrei tanto che si instaurasse la democrazia». In un certo senso tutto il Novecento è consistito in una lotta fra il paradiso individuale e quello collettivo, con affermazioni mai viste prima di quest'ultimo. «Proprio così. Fascismo, nazismo, comunismo, maoismo, paradisi collettivi che sono falliti proprio perché non hanno lasciato un margine d'azione all'individuo. Credo che riuscire a far convivere le due visioni sia ciò che ci avvicina alla civiltà». Adesso pretendiamo di imporre la libertà individuale con la guerra. «Sta parlando dell'Iraq? Pensa che il fine di quella guerra fosse far trionfare la libertà individuale? Se così fosse, perché non combattere anche tanti altri satrapi oppressori sparsi nel mondo? Però è vero che l'Europa deve la sua libertà attuale ai bombardamenti americani contro i bersagli nazisti». Pensa che gli Europei, dunque, debbano essere grati agli Stati Uniti? «Penso di sì. Ma la politica quotidiana è mossa dall'interesse, non dalla gratitudine. Il 'pacifismo' della Francia nei riguardi dell'attacco all'Iraq, per esempio, in realtà mascherava i suoi interessi economici». Potrà mai esserci un Paese islamico retto da un governo democratico? «Mi rifiuto di pensare che ci siano culture o società inadatte alla democrazia. Basta pensare al Giappone, dove prima della seconda guerra mondiale vigeva un ordine piramidale, teocratico e chiuso. Eppure una simile società ha adottato il sistema democratico. Sono convinto che un Paese possa conquistare la democrazia anche con le armi». Dunque il mondo è incamminato verso il compimento della democrazia sociale e della libertà individuale? «Nella storia dell'umanità vediamo che la norma è stata sempre il dispotismo. L'anomalia, meravigliosa, è la libertà e la democrazia. La libertà è un'eccezione: comparve in Europa quando si compì la separazione fra religione e Stato e quando l'individuo divenne un soggetto di diritti, al di là della collettività. Questo portò dinamismo, prosperità, cultura, progresso tecnico». Portò anche la felicità? «No, nessun sistema politico garantisce la felicità. Questa è una materia esclusivamente individuale. Per questo è impossibile imporre un paradiso; e per questo ogni paradiso imposto a tutti si tramuta in un inferno per tutti. Così hanno fatto il nazismo, il comunismo».

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