Il Po è nato dalla leggenda
INTERVISTA A GUIDO MINA DI SOSPIRO
C'è quello del delta, di Comacchio dalle paludi addomesticate, assalite da cemento e vetture, e chi pesca non sa che pesca. E quello della sorgente del Monviso, mai più luogo segreto ma meta di picnic spesso troppo beceri. E c'era una volta il Po, generato dal ghiacciaio, innervato da purissimi affluenti. Capace, detrito dopo detrito trasportato a valle, di costruire la pianura padana, d'estendersi oltre, prima del cuneo d'acqua che divenne l'Adriatico. In principio era il Po, un principio popolato di fauni e gnomi, di ninfe e ondine. A questo Po da «terra di mezzo» fa raccontare la sua storia, in prima persona, quell'eclettico, appartato, controcorrente e originale intellettuale che è Guido Mina di Sospiro. Ha già firmato - lui aristocratico lombardo discendente di Maria Teresa d'Austria e trapiantato negli States - «L'albero», pubblicato con grande successo l'altr'anno da Rizzoli. Adesso aggiunge questo «Il fiume» e progetta, per completare la trilogia naturale, «Il Vulcano», dedicato alle memorie dell'Etna. Mina di Sospiro, che storia è questa dove il Po è l'Eden perduto? L'epilogo è un fermo j'accuse contro la cementificazione. Ma lei vagheggia il ritorno dell'età dell'oro e degli dei, un mondo puro di eroi. Non è troppo fuori del tempo? «Il successo di Tolkien dimostra che proporre ideali di purezza e coraggio, sapienze antiche, risponde a un bisogno attuale. Dimostra che alla gente non piace il mondo come va, anzi, come ci viene presentato. E poi, basta dare etichette, c'è un anelito verso l'Alto che va rispettato. Tolkien era un mito della destra? Forse in Europa. In America, durante la guerra del Vietnam era un libro di culto». Già, l'America. Come ci si trova, lei «padano», negli States? «Ci sono andato a vent'anni, a studiare musica e cinema, con grandi maestri tra cui Hernst Lehman, sceneggiatore di Hitchcock. Avevo già girato a Milano un film "autarchico" in Super8, "Eroi e villani" dove erano bandite automobili, lampadine elettriche, telefoni. Può ben capire che Oltreoceano all'inizio fu uno shock. Ora non saprei vivere altrove. Tutto è semplice, non esistono negozi chiusi per pausa pranzo o per ferie, non c'è burocrazia. Il massimo dell'efficienza e dell'organizzazione si conciliano col massimo di liberismo. Non rimpiango lo smog di Milano, forse mi manca la solarità grandiosa di Roma. E penso magari a quella Roma antica, repubblicana, dove c'era un fico e si diceva che se si ammalava quel fico si ammalava tutta la città. Scrisse qualcuno, mi pare Jünger, che l'America è l'ultima età dell'oro della quale siamo coscienti. Ed è terra dove la natura esplode all'ennesima potenza. Le mega-sequoie, il mais invece che il grano, i bisonti invece che le mucche». L'America è anche la terra dei predicatori, dei santoni, del boom new age? Questo spiritualismo annacquato non si è impossessato dei suoi libri? «Una grossa casa editrice tedesca non ha pubblicato il mio "Albero" nella collana New Age per certe pagine in cui davo conto della feroce lotta tra specie anche nel mondo vegetale. Il mondo non così roseo come quelli vorrebbero. Ma che si ricerchi il genius loci, una sintonia con l'universo fuori da una visione materialistica, fuori dalla schiavitù al denaro, questo sì». Lei contamina mito e realtà, mischia tradizioni e letterature, porta il dio Pan in riva al Po. Che ne pensa dell'«uso politico» del fiume che ne fa il senatùr Bossi con i suoi raduni? «Bossi non lo conosco. So solo che andai alla sorgente del Po ventuno anni fa, in pieno agosto. Non c'era nessuno. Ci sono tornato nel '96, pullulava di gente. Preferisco la prima versione».