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di DARIO ANTISERI IMMANUEL Kant, nella Risposta alla domanda: che cos'è l'Illuminismo? (1784), ...

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Minorità è l'incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stesso è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e di coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell'Illuminismo». Tuttavia, come ben si sa, di buone intenzioni sono lastricate le vie dell'inferno. Il programma dell'Illuminismo francese consisteva, appunto, nella liberazione dell'uomo dalla «paura» e dalle «superstizioni», ma l'esito fu l'oppressione politica e il terrore generati da una ragione che si era reputata onnipotente. Gli Illuministi francesi, insomma, non usarono la ragione, ne abusarono. È questo il giudizio più maturo di significativi storici delle idee e di teorici della politica, a cominciare da colui che sicuramente è stato il più grande pensatore liberale dei nostri tempi, vale a dire Friedrich A. von Hayek. «Una irragionevole Età della ragione»: così Hayek ha definito l'Illuminismo francese, contrapponendolo all'Illuminismo della Scuola scozzese - un movimento di pensiero «ragionevole» proprio perché consapevole dei limiti della ragione, e quindi critico di ogni «utopia» politica dove si è pronti a sacrificare intere generazioni. «La difesa di una giusta concezione della ragione, e dunque, della persona umana - scrive Hayek - trova gli inizi del suo sviluppo moderno in John Locke e in modo particolare in Bernard de Mandeville e David Hume, ed ha raggiunto la sua forma compiuta nell'opera di Josiah Tucker, Adam Ferguson e Adam Smith e in quella del loro grande contemporaneo Edmund Burke ». Nel diciannovesimo secolo una giusta concezione della ragione, e quindi dei diritti della persona umana, «è rappresentata nella maniera più esemplare nell'opera di due dei suoi più grandi storici e filosofi della politica: Alexis de Tocqueville e Lord Acton». Ad avviso di Hayek, costoro portarono a maturazione quel che vi era di meglio nel pensiero dei filosofi scozzesi, in quello di Burke e dei Whig inglesi. E ciò a differenza di quei «pensatori radicali», i quali subirono in maniera sempre più decisa l'influsso di quella falsa concezione illuministica che Hayek chiama individualismo falso: una falsa e illusoria difesa dei diritti della persona umana. Si tratta dell'Illuminismo rappresentato da pensatori francesi i cui esponenti di maggior spicco sono, per Hayek, gli Enciclopedisti, Rousseau e i fisiocrati. Siffatto «fondamentalismo» razionalistico si configura, ad avviso di Hayek, quale autentico pericolo, giacché «tende sempre a trasformarsi nell'opposto dell'individualismo, e cioè nel socialismo o collettivismo». Gli illuministi «scozzesi», a differenza da quelli «francesi» sanno che l'uomo è giunto dove è giunto a dispetto del fatto che egli solo in parte è guidato dalla ragione; che il ruolo giocato dalla ragione nelle faccende umane è piuttosto piccolo; che la ragione umana è limitata ed imperfetta. L'illuminista francese pensa invece che tutto ciò che l'uomo ha conseguito sia risultato diretto della ragione di qualche «illuminato»; crede che l'uomo formi la società e costruisca istituzioni tramite un contratto tra individui finalizzato ad un esplicito scopo; e in questo modo egli si proibisce la comprensione degli ordini spontanei. E mentre le teorie che vedono le istituzioni e gli ordini sociali come progetti intenzionali tesi ad un fine e controllati dalla ragione di uno o più individui conducono direttamente allo statalismo, «il vero individualismo crede invece che, se lasciati liberi, gli uomini conseguono più di quanto l'umana ragione individuale potrebbe mai progettare o prevedere». Per tutto ciò, non hanno torto Horkheimer e T. W. Adorno a dire che «la terra interamente illuminata splende all'insegna di trionfale sventura».

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