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Nuova fatica di Denys Arcand, artista-simbolo del cinema canadese

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L'impero crolla ma con stile

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VENT'ANNI fa Denys Arcand, uno degli autori più significativi del cinema canadese, noto da noi anche per «Gesù di Montréal», ci aveva detto, nel «Declino dell'impero americano» di quattro uomini e di quattro donne che, in una villa sul lago, esprimendo i disagi psicologici, esistenziali e sociali di quegli anni, testimoniavano lì in Canada, alla periferia dell'impero americano, del declino di quello stesso impero. In cifre non dissimili da quelle di cui aveva finito per esser vittima l'impero romano. Oggi, dopo l'11 settembre, Arcand sente di poter avviare un confronto addirittura con le invasioni barbariche e lo fa con gli stessi personaggi e gli stessi felicissimi interpreti dell'altro film, considerandoli però, anche questa volta, nell'ambito del loro privato. Al centro Rémy (sempre l'ottimo Rémy Girard) allo stadio terminale di una malattia incurabile. La moglie lo ha lasciato da tempo per le sue continue infedeltà, ma chiede aiuto a un figlio, ora a Londra in affari, perché la soccorra in quella circostanza difficile. Il giovane torna poco convinto (non ha mai amato il padre), ma di fronte allo squallore dell'ospedale in cui lo vede ricoverato in desolante solitudine, gli organizza subito a proprie spese una situazione diversa. Convocandogli attorno gli amici di un tempo (quelli dell'altro film) e predisponendogli una fine che, perché sia la più dolce possibile, fa concludere anche una tacita eutanasia. Esposto così sembra, ed è, il racconto di un'agonia. Arcand, però, che si è scritto anche il testo, l'ha congegnato in modo da darvi spazio con meditata intelligenza anche all'umorismo. Nel disegno del carattere di Rémy e di tutti quegli amici che son tornati al suo fianco, negli episodi, sia pure spesso anche malinconici, che si affacciano ad ogni momento nell'azione, nei graffi con cui si disegna la corruzione dei tanti ambienti che i personaggi attraversano (medici, sindacaliasti, poliziotti, spacciatori di droga), lasciando che sia soprattutto il protagonista a tirare a più riprese tra l'aggressivo ed il caustico le somme di quei «declini» tutti intorno che, nelle invasioni barbariche ormai alle porte, non possono non far sentire i primi campanelli d'allarme. Senza mai pedanteria, comunque, e con guizzi polemici che si intuiscono soltanto tra le pieghe di quel dramma privato enunciato sempre con levità straordinaria. Anche nei momenti di angoscia.

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