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di WALTER MAURO RIUNIRE attorno a un tavolo, un po' arturiano per via della sua rotondità, ...

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Il testo-chiave di Magris è di certo Danubio, e attorno al suo corso attraverso tanta parte del vecchio continente, abbiamo voluto costruire questo incontro a più voci. Ecco Afrodita Gionchin, rumena dell'Università di Padova: «Nel confronto fra passato e presente c'è da notare che con gli anni, i decenni, i secoli, mutano gli statuti delle città e le cifre delle nazionalità delle regioni, il crogiuolo non cessa di ribollire». È pronto a rispondere Claudio Magris: «Nessun popolo, nessuna cultura, come nessun individuo sono privi di colpe storiche: rendersi impietosamente conto dei difetti e delle oscurità di tutti, e di se stessi, può essere una proficua premessa di convivenza civile». Strategia difficile, e per certi aspetti impossibile, se si riflette sul forte tema dell'identità smarrita, ritrovata per poi perdersi di nuovo fra le acque di un eterno confine, di una inesausta frontiera: «A Tallinn, nella lontana Estonia — ricorda Ylar Ploom, italianista di quella terra così remota da noi e dal Danubio — c'è una via dove ci sono due bar che portano le seguenti scritte: la prima dice "Bar senza nome" e l'altra "Bar con nome". Paradossalmente il primo bar, quello senza nome, ha in realtà un nome (appunto "Bar senza nome") e quell'altro, "con nome", sembra invece non ne abbia nessuno». Potrebbe apparire estraneo al tema di fondo, quello della Mitteleuropa e del suo futuro, ora che i confini camminano e il processo di allargamento cammina senza sosta. Il problema lo affronta Imre Barna italianista ungherese proveniente da Budapest, sede di una «storica» Università. «I testi di Magris riflettono, fra l'altro, caratteristici modi di vedere mitteleuropei. Basterebbe citare un esempio particolarmente vivo: penso alla sua visione nostalgica del mare, più precisamente del Mediterraneo, per cui a un certo punto viene addirittura citata la strana opinione secondo la quale il Danubio in qualche modo, indirettamente sfocerebbe non nel Mar Nero ma nell'Adriatico». Risponde Magris, con forza: «In queste lagune, secondo la tradizione mitica, sfociava, tramite un fiume che sarebbe uscito dalla Sava, suo affluente, il Danubio. Tale fiume sarebbe stato l'Istro, che in altre versioni è il Danubio stesso. È giusto che questo fiume, quello della Mitteleuropa continentale, della sua grandezza, della sua malinconia, delle sue ossessioni, fluisca nell'Adriatico, perché l'Adriatico è il mare per eccellenza». Non va dimenticato che il più recente testo saggistico di Claudio Magris ha un titolo molto significativo. Si chiama Utopia e disincanto. È allora importante la precisazione di Pavol Koprda che viene dalla Repubblica Slovacca, da Bratislava, e sa bene cosa voglia dire navigare quel fiume, da slovacco: «Quell'aristocrazia al timone della cultura indigena non era corrotta, perché muoveva verso qualcosa che la superava. Magris individua come segreta forza unificatrice della nazione i processi coi cosiddetti borghesi nazionalisti slovacchi, inscenati nel 1951. I tribunali di Stalin allora condannarono al carcere e alla perdita dei diritti civili, fra gli altri, il poeta Ladislav NOvomesky e altri uomini di cultura che rappresentavano la continuità con la prima Repubblica cecoslovacca e con la insurrezione nazionale slovacca antifascista». Quanto ricorda Koprda è confermato dalla scarsità di traduzioni delle opere di Magris nell'Urss, e un po' paradossalmente anche nella Russia di oggi. Ma torniamo alla Mitteleuropa e alla

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