L'insicurezza in Bangladesh e l'anonimato nella metropoli
Ora vive a Londra, è sposata, ha due figli, Felix di quattro anni e Shumi di due. Non le è mai venuto in mente di fare dei genitori due figure da romanzo, anche se la storia avrebbe favorito questa scelta: i due infatti si conobbero in Gran Bretagna e quando il padre dovette tornare a Dhaka per lavoro, sua madre lo seguì, malgrado l'opposizione della famiglia musulmana da cui proveniva. Monica ha ascoltato tanti racconti evocativi della vicenda storica del suo paese d'origine: la guerra civile che nel 1971 trasformò il Pakistan orientale in Repubblica del Bangladesh, l'insicurezza, la fuga, la lontananza, la presenza di un razzismo che ha sempre consumato sulla sua pelle, lei ritenuta una outsider, mai una vera componente di una società in divenire. Così, scelse l'anonimato, per poter scrivere in pace. Dopo la laurea in letteratura a Oxford, ha lavorato nel marketing per due case editrici, poi in una agenzia di design. Solo dopo il compimento dei primo anno di vita del figlio, ha iniziato a scrivere questo suo romanzo d'esordio, frutto di un lungo lavorìo di ricerca fra spacciatori e giovani lavoratori, fra donne di ogni categoria sociale, anche in Bangladesh, presso quella fiorente industria di abbigliamento. Questo romanzo dunque è la sua prima fatica letteraria che ha significato un grande successo in Inghilterra e nel mondo e l'ingresso nella cosiddetta shortlist del Bookprize. W. M.