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Kapoor inventa per l'Italia

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A Napoli espone una serie di grandiose sculture, addirittura progetta per una stazione della metropolitana. E a Roma arriverà il 3 dicembre con un'istallazione appositamente creata per la Galleria Nazionale d'Arte Moderna, «La montagna, la pietra, lo specchio», imponente scultura che ripropone un tema caro a Kapoor, l'avvicinamento tra cielo e terra. Ma chi è Kapoor? Un artista che ancora parlare visivamente della vita e della morte, del sangue e del sesso tramite forme perfette ed emozionanti, dimostrando che non è necessario ricorrere a invenzioni volgari e deteriori. Lo dimostra la bellissima mostra (a cura di Cicelyn e Codognato) che fino al 12 gennaio Napoli gli dedica, negli spazi mozzafiato del Museo Archeologico Nazionale. La città del Vesuvio già conosceva Kapoor per avere ammirato la sua «Taratantara», enorme scultura in Pvc rosso collocata nel 2000 in Piazza Plebiscito. Ma ora sono stati stupiti un'altra volta. E probabilmente lo saranno ancora quando lo scultore avrà completato la nuova stazione Cumana della metropolitana locale. Anish Kapoor riesce a realizzare la sua ambizione principale, da lui stesso dichiarata: «Mi interessa molto lo spettatore, cerco di stabilire un rapporto diretto. Voglio creare in lui uno choc, un senso di vertigine, l'impressione di cadere all'interno dell'opera. Un'opera a noi contemporanea deve far provare sulla pelle l'esperienza estetica», dice. L'artista inventa così una serie di opere e di istallazioni che celebrano in modi compiuti il dialogo fra le culture orientali e quelle occidentali. Le sue sculture esaltano l'energia e la presenza del vuoto, superando la propria indubbia pesantezza materiale (sono fatte in pietra, in Pvc o in metalli specchianti e la loro realizzazione è costosissima) con una sensazione di prodigiosa leggerezza. Kapoor usa spesso i pigmenti della tradizione decorativa indiana della serie «Mille nomi» e nelle opere più recenti si concentra su un uso simbolico e ottico, al tempo stesso, del colore rosso. È il rosso del sangue mestruale e di quello che scorre nelle vene, con tutte le loro implicazioni di morte e di purificazione, ma tutto è formalizzato con un'incredibile levigatezza che ci comunica un senso dell'assoluto e del sublime. Contemplando i suoi parallelepipedi di pietra su cui si aprono varchi neri dalla profondità indefinita l'osservatore è portato a perdersi e a tuffarsi letteralmente in quegli abissi, emblemi del microcosmo del sesso femminile ma anche del macrocosmo planetario. Buchi neri nel loro duplice senso, si potrebbe dire. Guardando gli enormi piatti specchianti e perfettamente lucidi lo spettatore perde le coordinate spaziali consuete, ha quasi una vertigine e avverte strani fenomeni di distorsione sonora della propria voce. È questa un'arte che mira ad uno stordimento quasi mistico per portarci a nuove forme di conoscenza e di rivelazione. Il silenzioso dialogo di queste opere con le sculture classiche del Museo Archeologico di Napoli varca le barriere del tempo. Se, dopo aver visto la mostra di Kapoor, si entra nelle sale del Museo e si arriva al gigantesco e spettacolare «Toro Farnese» si ritrova, sorprendentemente, andando a ritroso nei secoli, la stessa vorticosa leggerezza che nasconde il peso della materia. La bellezza di oggi parla con la perfezione di ieri. Ora l'attesa è per la «sorpresa» romana dello scultore. Kapoor ci sta lavorando da un anno. Col suo respiro cosmico non deluderà la Città Eterna.

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