Roberto Fané: «Dobbiamo sfruttare tutti gli strumenti dei mass media»
Parola di Roberto Farné, docente di Didattica generale all'Università di Bologna, che nel saggio «Iconologia didattica» (Zanichelli, 432 pagine, 38 euro) dimostra come il linguaggio visivo possa essere un valente alleato nel difficile compito di nutrire giovani menti con nozioni e idee. Che si tratti di figurine, filmati, cartoni animati o fumetti, l'immagine ha l'indubbia capacità di facilitare la trasmissione del sapere. «Nell'insegnamento di molte discipline - ci dice il professor Farné - l'immagine costituisce un'efficace "illustrazione", ossia spiegazione, dei concetti. Basta pensare ai libri di testo destinati ai bambini nella scuola elementare per avere una delle testimonianze più antiche e consolidate del contributo che un buon apparato iconografico può dare all'apprendimento. Non a caso il verbo "illustrare" significa dare luce, illuminare qualcosa che altrimenti rimarrebbe oscuro, ambiguo, così come la parola "spiegazione" - anch'essa appartenente al linguaggio didattico - significa aprire, togliere le pieghe da tutto ciò che rimarrebbe chiuso, difficile da capire». Quanto viene usata l'iconologia didattica nella scuola italiana? «Non credo che gli insegnanti abbiano la consapevolezza piena della funzione che le immagini possono avere nell'insegnamento, soprattutto tenendo conto della molteplicità dei linguaggi che su di esse si fondano: dalla fotografia all'audiovisivo, dal film al programma televisivo, le possibili configurazioni degli universi iconografici sono numerose, e credo che esse siano ancora sotto-utilizzate nell'insegnamento». Che cos'è la "pedagogia dei media"? «È lo studio dei processi educativi veicolati dagli strumenti più diversi: dal libro al fumetto, dalla televisione a Internet. Che i media abbiano sempre svolto una funzione educativa importante è risaputo, ma normalmente ciò avviene al di fuori della sfera preposta a impartire istruzione: i bambini hanno sempre letto fumetti, giocato con le figurine, condiviso programmi televisivi e film, facendone un loro patrimonio culturale e di formazione. Si tratta allora di capire come simili esperienze possano essere inserite in un programma d'insegnamento, scolastico o extrascolastico. In questo senso non siamo alla prime armi. Sia in Italia sia all'estero gli esperimenti di media education, nei quali i media sono al centro del lavoro scolastico di insegnanti e alunni, sono sempre più frequenti. Chi segue alcuni programmi televisivi un po' di nicchia, come il delizioso Screensaver che va in onda su Raitre nella fascia pomeridiana, noterà come esso mostri ai telespettatori i lavori che i ragazzi fanno a scuola usando i media». Possiamo sfatare, allora, certe dicerie, come quella che accusa il fumetto di essere anti-pedagogico? «Penso che questa diceria sia stata sfatata ormai da tempo, e a questo proposito vorrei ricordare Oreste del Buono, scomparso di recente, a cui dobbiamo lo sdoganamento culturale del fumetto in Italia. Tra gli anni Trenta e i Sessanta nel nostro Paese il fumetto è stato oggetto di una guerra che per la sua virulenza non è nemmeno paragonabile alle più recenti campagne contro la televisione o i cartoons giapponesi. I fumetti erano considerati pericolosi perché toccavano direttamente quello che era considerato il sacrario dell'educazione: la lettura. Esso cambiava radicalmente l'esperienza della lettura, stravolgendo il rapporto tra parola e immagine. Oggi credo che nessuno oserebbe più affermare che il fumetto sia dannoso o diseducativo». Non si può dire, però, che le offerte del mercato del fumetto siano tutte da approvare. «Come tutti i mercati, anche quello dei fumetto offre prodotti di infima qualità e altri di straordinario valore. Il fumetto ormai ha raggiunto piena dignità culturale, e gli autori sono considerati a tutti gli effetti creatori di una letteratura per immagini che si può considerare uno dei linguaggi più rappresentativi della cultura contemporanea». Torniamo alla scuola. Nel suo libro lei denuncia la proliferazione d