di SERGIO DI CORI LOS ANGELES — Liberamente tratto - molto liberamente, forse troppo ...
Contrariamente al suo solito, in questo film la Thurman interpreta un ruolo che è ormai diventato una caratteristica della attuale fase della cinematografica americana: una donna sola, senza protezione alcuna, offesa e abusata, che all'improvviso diventa eroina guerriera scatenando una violenza spaventosa. Dieci anni dopo, di nuovo con Tarantino, contenta della scelta? «Sì certo. Tarantino mi porta fortuna. Quando facemmo "Pulp fiction" nessuno pensava che il film avrebbe poi avuto l'incredibile successo, sia di critica che di pubblico, che ha ottenuto in tutto il mondo. Questa volta era diverso perche c'era molta attesa, il film è stato distribuito da una delle majors e Tarantino è ormai una star a tutti gli effetti. A differenza dell'altro film che era in un certo senso un esperimento, questo è un film più avanzato. Tarantino, ormai, e considerato un autore molto rappresentativo». «Kill Bill» è molto violento. Recitare in un ruolo così forte le ha procurato dei problemi? «No. Si tratta di un film, dunque di un'opera di fantasia. È dichiarata dal regista la voglia di fare dell'ironia per l'appunto esagerando. Tarantino è fatto così, lui si esprime attraverso delle esagerazioni surreali. È un estremista e come tale spinge al massimo delle possibilità ogni situazione. Inevitabile che ne venga fuori un prodotto molto forte ed estremo». Il regista è stato accusato da una certa parte della critica di aver esagerato. Perché con la scusa di fare dell'ironia, in realtà ha costruito un film molto violento e il pubblico non ha bisogno di essere solleticato in questo modo. Lei che cosa ne pensa? «Io sono un'attrice e non sono un critico. Non ne ho idea. A me danno un personaggio e se mi piace, lo faccio. Io ho trovato molto interessante l'idea di una donna guerriera che semina il terrore nel mondo business dei maschi. Una specie di Rambo al femminile. Ho accettato proprio per questo. È un modo irruento di far irrompere sullo schermo delle tematiche femminili». Lei pensa che le donne si possano identificare con un personaggio che squarta la gente con un coltello a sega? «L'America è un paese molto violento, come tutti sappiamo. Noi donne combattiamo la nostra battaglia quotidiana per riuscire a fare in modo di avere un pari trattamento ed essere trattate nel mondo del lavoro come nostri colleghi maschi, né più né meno. Penso che sia meglio per una donna vedere sullo schermo una guerriera arrabbiata magari un po' sopra le righe piuttosto che essere testimone dei drammi esistenziali di una donna che poi finisce per essere costretta a cedere alle convenzioni, ai compromessi, rinnovando così il solito stereotipo sulla donna debole, o sul sesso debole che dir si voglia. Non siamo né deboli né inferiori, siamo l'altra parte della mela, tutto qui. Sparate voi maschi, spariamo anche noi. Del resto, questo mondo e questo tipo di sistema è stato creato dai maschi. E dpo qualche millennio noi donne abbiamo imparato ad adattarci». Crede che la gente adesso la identificherà con un certo modello di femminilità, diciamo così aggressiva? «Penso e spero di no. È il motivo principale per cui ho accettato di fare questo film. Ero stanca di fare sempre la parte della donna innamorata in un ambiente borghese classico che finisce per cedere alle pressioni del sociale. I miei ultimi quattro film erano tutti così. Un mattino mi sono alzata e ho detto basta». Se dovesse definire il nuovo modello attuale di donna e di femminilità in Usa, quali particolarità le attribuirebbe? «Non esiste più la donna credulona o quantomeno la facile preda di uomini senza scrupoli. Oggi la donna è sul mercato del lavoro in prima fila e ha imparato a farsi rispettare. È una donna che è in grado di vivere la schizofrenia del