Mare e mostri riveduti e corretti dall'autore
Ambientato nel '43, questo libro gigantesco e sonoro, innesto delle più svariate fonti e di molti generi letterari, è una storia «di morte e di mare che si chiude sopra il deserto dei valori di un mondo travolto dalla guerra», come dice Walter Pedullà firmando l'acuto saggio di introduzione. Protagonista è 'Ndrja Cambria, «nocchiero semplice della fu regia Marina», il quale fa ritorno al suo povero villaggio di Cariddi, «una quarantina di case a testaditenaglia», affacciate sullo Stretto di Messina. Immerso in una natura metaforizzata, a sfondo d'arcano e destino, memoria e luttuoso presagio, in cui si anima un volo d'enigmatiche figure, il personaggio agisce in una circolare struttura narrativa. Una linea più realistica lo guida nel viaggio verso le radici; un'altra, visionaria, fa del viaggio uno "strabilio" di volti sbocciati da un incantamento e di episodi, mitici e simbolici, costruiti per quadri e irradiati da un teatro affabulante, pronto a crescere su se stesso, fra controcanto, sentenza ed epica. Sovrasta il dialogo, le cui schermaglie, protratte in rilanci infiniti e cucite spesso su reticoli di acutezza e nonsenseria, investono 'Ndrja, il suo universo allucinato, le «femminote» e i «pellisquadre», Ciccina Circé, traghettatrice «magara» per un mare pieno di «miserande roncisvalli» di cadaveri, e il padre Caitanello, perso in una fantasmagorica contesa con l'inganno. Orientati dal «sentitodire» e dal «vistocogliocchi», transitano voci arcaiche siciliane, folklore e digressioni iperboliche, dispositivi stilistici capaci di trasformare uno schizzo in un'arcata alta di fraseggi, e mappe di neologismi e giochi etimologici. La risacca della scrittura fastosa sventaglia nelle ventate di un plurilinguismo aggressivo e cantabile (o nella «morìa di parole», l'altra sponda del poematico flusso), «quell'arcalamecca di cose, quella millunanotte di fatti e fatterelli» e «nenticchierie»: il rapsodico tessuto del racconto in cui si esaltano, con le loro rifrangenze, gli emblemi delle «fere» e dell'Orca. «Barbaro animale capriccioso e pestifero», la fera non risparmia l'Orca, il devastante e «avvulcanato» mostro che dà la morte. Ma nella sua inimmaginabile fine si insinua il sospetto di un sortilegio che sembra perpetuarne la vita. I due spettacolari segnali del male scandiscono l'odissea di 'Ndrja, il suo fatale andare verso la meta estrama. La «pantomima» si arrende al cupo rintocco del linguaggio tragico, alla «vampata» dello sparo che getta per sempre l'uomo nelle tenebre. Stefano D'Arrigo Horcynus Orca Rizzoli 1096 pagine, 25 euro