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PIÙ DIFETTI CHE PREGI NEL GRANDE ORATORE RACCONTATO DA EVERITT

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Cicerone, quell'intellettuale-banderuola che divenne vendicatore

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E forse più numerosi sono i secondi che non i primi, ma non per questo l'arpinate è meno grande della sua fama che investe anche i nostri giorni. Il libro è pubblicato da Carocci con un titolo che punta soprattutto su un aspetto della complessa personalità di Cicerone: «Vita e passioni di un intellettuale», le pagine sono 361 al prezzo, che mi sembra un po' alto, di 29 euro. Cicerone era un conservatore, ma sempre oscillante fra opposte posizioni. Era acuto e geniale intellettualmente, pur rivelandosi sempre più in politica una instabile banderuola. Essendo figlio di un cardatore, ma pur sempre «eques», avrebbe dovuto militare fra i popolari, ma la labilità del carattere e l'incapacità di resistere all'adulazione lo sospingeva ora di qua ora di là. Con una punta di sufficienza, i cesariani lo chiamavano il «Cicer», dalla verruca che, a forma di cece, dominava una sua guancia. Forse una delle sue arringhe più famose resta quella che pronunciò in Senato contro Catilina nel definirlo bieco e miserabile. A Roma quel pericoloso personaggio, sempre più radicalpopolare, aveva ordito una congiura, una vera e propria insurrezione armata che mirava a destituire l'oligarchia senatoria. Senonché Marco Tullio Cicerone, allora console, scoprì il piano destabilizzante. Immediatamente convocò il Senato nel tempio di Giove Statore, per motivi di sicurezza, e non nella consueta sede della Curia Ostilia. Catilina, che era appena tornato a Roma dall'Etruria, ebbe l'impudenza di partecipare alla seduta senatoriale con l'idea di disorientare l'assemblea sostenendo la sua estraneità a ogni tentativo di rivolta. I «patres», scorgendolo nella sala, si allontanarono da lui come fosse un appestato, ed egli rimase solitario in un seggio isolato. Si alzò egualmente a parlare, ma poco dopo Cicerone lo interruppe esclamando: «Quousque tandem, Catilina, abutere patientia nostra?» (fino a quando, Catilina, abuserai della nostra pazienza)? «Per quanto tempo ancora la tua follia si farà gioco di noi? Fino a che punto si spingerà la tua condotta temeraria? Ti rendi conto che i tuoi piani sono stati scoperti? Il Senato è al corrente di tutto, sa che cosa hai fatto la notte scorsa e le altre precedenti, dove sei stato, chi hai convocato, quale decisione hai preso». Poi, rivolgendosi ai senatori: «Eppure un uomo simile è ancora vivo, anzi viene perfino in Senato. O tempora o mores». A questa invettiva, Catilina fu indotto a fuggire da Roma, e Cicerone, dopo tumultuosi eventi, fece arrestare e giustiziare con un laccio alla gola nelle fetide grotte del Tulliano i cinque maggiori responsabili della congiura, violando il diritto degli imputati a essere processati. Egli diede alla folla l'annuncio dell'esecuzione con una sola parola gonfia di compiacimento: «Vixerunt», vissero. Indifferente al fatto di aver forzato il corso della giustizia. Ma per lui, in un certo senso, non ci fu sorte diversa quando Antonio inserì nelle liste di proscrizione, che comprendevano 130 senatori e 2.000 cavalieri, il di lui odiato nome in quanto sostenitore di Pompeo e dei cesaricidi ai quali aveva fatto concedere l'amnistia. L'ormai vecchio Cicerone si era dato alla fuga, prima rifugiandosi nella villa di Tuscolo e poi nella più remota Astura da dove aveva preso il mare col proposito di raggiungere in Macedonia le truppe di Bruto e di Cassio. Era stato costretto a tornare indietro a causa del mare in tempesta. Stavano ad attenderlo gli scherani di Antonio — il quale non aveva dimenticato la ferocia delle Filippiche che lo avevano per oggetto — con l'ordine di trucidarlo. Egli era in lettiga, sulla strada di Formia, quando un centurione gli infilzò un pugnale nella gola. Gli schiavi erano già pronti a difenderlo, ma lui li fermò: «Lasciate fare all'ingiusto

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