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di ANTONIO ANGELI SONO PASSATI 75 anni da quando, in un'America e in un mondo tanto diversi ...

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E la leggenda vuole che proprio di figlio si tratti, visto che nacque dalla collaborazione tra un Disney allora appena 26enne e sua moglie Lillian. Walt, che da qualche tempo era perseguitato da quel pupazzetto che non voleva trovare una precisa fisionomia, era un po' bacchettone e decise di chiamarlo Mortimer. Scarabocchiando su un pezzaccio di carta mentre era in treno (sempre così recita la leggenda) Disney trovò quelle fattezze che poi avrebbero reso famosa la sua creatura: gli occhioni neri, le grandi orecchie, le gambette secche e i pantaloncini con i bottoni. Lillian vide il disegno e disse a Walt: «Mortimer è troppo impegnativo. Chiamalo Mike, anzi Mickey». E fu Mickey Mouse. Quel pupazzo «concepito» su un treno sarebbe divenuto il protagonista di uno dei primi cartoni animati sonori della storia. Luogo del «parto» fu una fumosa e popolare sala cinematografica: il Colony Theater di New York. Il programma della serata: un film, uno spettacolo musicale di Ben Bernie e la sua orchestra e alla fine il cartone animato «Steamboat Willie». Una striscia di carta incollata sulla locandina dava un particolare in più: «sonoro». Era il 18 novembre del 1928. Ma come erano dei disegni sonori? A parte qualche addetto ai lavori non li aveva mai visti nessuno. Walt e il suo animatore e fraterno amico Ub Iwerks non erano nemmeno certi certi che il pubblico avrebbe messo in relazione il suono con le immagini (rigorosamente in bianco e nero). E c'era poi il produttore Louis Mayer che non voleva mettere sotto contratto Disney perché pensava che Mickey Mouse, visto che era un grosso topo che si muoveva sullo schermo, avrebbe fatto schifo alla gente. Ma Walt, che era un genio (e questa è sicuramente realtà e non leggenda) volle provare. Aveva già capito che in quattro e quattr'otto il cinema sonoro avrebbe sbaragliato quello muto, nonostante molti miti di allora la pensassero diversamente. E fu un trionfo. Dal filmino con un pupazzetto che si muoveva un po' come Buster Keaton (uno dei miti del cinema sbaragliati dal sonoro) nacque un personaggio intramontabile. La carriera cinematografica del «topo sullo schermo» è stata inarrestabile: 120 cartoni animati dal '28 al '95, che diventano oltre 200 con le serie televisive tra il '99 e il 2001. Il successo di Topolino è andato oltre il cinema. Nel '30 fu pubblicata la prima striscia a fumetti, che divenne presto un appuntamento fisso per milioni di lettori dei quotidiani in tutto il mondo. Le gag sono scritte personalmente da Walt Disney e disegnate da Ub Iwerks. I due poi passeranno la matita a Floyd Gottfredson, considerato da tutti il più grande artista ad aver mai disegnato Topolino e che al personaggio dedicò 45 anni della sua vita. E a Topolino saranno dedicati milioni di oggetti: dalle magliette agli orologi. È il pilastro su cui si fonda l'impero Disney. Una curiosità: l'Italia fu il primo Paese in cui nacque un giornalino a fumetti dedicato a Topolino, edito da Nerbini nel '32. Nei primissimi numeri al posto dell'allora improponibile nome in inglese, il personaggio fu chiamato Topo Lino, poi il nome divenne tutt'uno. La leggenda vuole che gli albi della Nerbini in epoca fascista siano sfuggiti alla censura per intervento diretto di Mussolini. Furono i suoi figli, che adoravano il personaggio, a insistere perché continuasse ad essere pubblicato in Italia, nonostante i fasti autarchici dell'impero. E tra i fan italiani del topo pare ci fosse anche Arturo Toscanini. In molti, tra sociologi e studiosi, si sono chiesti il motivo profondo del successo del pupazzetto con le grandi orecchie. La verità è che Topolino è stato per anni un personaggio versatile: molti personaggi e non uno solo. È stato bambino e adulto, birichino e moralista. Nei tempi ha cambiato fisionomia e mentalità. Come un vero essere vivente.

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