di ENRICO CAVALLOTTI AMABILE lettore, se domani a sera, o martedí pomeriggio t'apprestassi ...
In verità, lo Zacharias, pur quotato in àmbito internazionale, dimostra nel cimento presente d'essere un direttore acquoso, incapace di dar senso alle musiche che, temerariamente, affronta: ed affonda. Haydn e Mozart costituiscono, come ognuno sa, l'acme del sinfonismo classico: nell'armonia dello spirito che li permea; nell'equilibrio della forma conseguita; nella sovranità d'un eloquio che gode, sotto il profilo storico e culturale, della razionalità dell'Illuminismo e, sotto quello concettuale, della stringatezza inoppugnabile del sillogismo. L'età di Haydn e di Mozart - il primo sta al secondo, in certo qual modo, come Cimabue a Giotto - è l'età felice della musica: età dopo la quale prende avvío un corrompersi della forma, un'insicurezza dell'espressione, una titubanza del sentimento che trascineranno il linguaggio dei suoni, lungo duecentocinquant'anni ad un dipresso, alla de-composizione (o morte) dello stesso. Non è facile interpretare Haydn e Mozart. Anzi, piú problematico assai che Beethoven o Brahms, o quant'altri. Occorre esser grandi interpreti per sensibilità, talento, gusto, intuizione. Cui Zacharias ha mostrato estraneità, vuoi sul podio (Sinfonie nn. 64 e 92 di Haydn), vuoi alla tastiera (Concerto n. 22 in mi bemolle maggiore KV. 482). Sovente con una mano suonava, coll'altra dirigeva. Ed ed entrambe in contrappunto, quali saliscendi d'ascensori, ingeneravano opacità di pathos, indeterminatezza di stile, superficialità di fraseggio, occasionalità d'eventi, banalità di spirito: tedio. L'Orchestra ceciliana, forse non poteva esser diversamente, non ha brillato punto. Ciò che da prima ci ha sorpresi sono stati gli applausi calorosi indirizzati dal pubblico in sala all'interprete. Dipoi abbiamo considerato che quel pubblico applaudiva commosso dalle musiche: quasi ad onorare i due sommi citati. Proprio per tale ragione, tra pubblico e critica non di rado il giudizio, non che diverso, è affatto antitetico.