Una beffarda storia in costume dove prevalgono scontri giganteschi

TAKESHI Kitano ormai è largamente conosciuto anche da noi, specie dopo il Leone d'Oro a «Hana-Bi», per «Dolls», egualmente presentato a Venezia e adesso con il film di oggi, premiato l'estate scorsa alla Mostra, in cui tutte le sue doti di scrittore, di pittore e anche di attore (con il nome d'arte di Beat Takeshi) trovano modo di imporsi felicemente facendosi filtrare attraverso un senso sempre molto sicuro del cinema. Un film in costume, per la prima volta nella carriera di Kitano (forse pensando a Kurosawa), sempre però nelle sue corde perché, al centro, ha bande rivali che, anziché il controllo di un quartiere, si contendono con ferocia il controllo di una cittadina di montagna. La novità è data dal protagonista, Zatoichi, appunto, un massaggiatore cieco imbattibile nell'uso della spada, che Kitano, interpretandolo con capelli così biondo platino da sembrare bianchi, ha ripreso da una nota serie televisiva giapponese che ha fatto furore dal '62 al '93. Gli eventi di quella serie li ha condensati attorno alla figura del massaggiatore-spadaccino che riesce, dopo scontri ciclopici a liberare contadini e commercianti dai taglieggiamenti e dai soprusi di una banda sostenuta, come sicario pronto a tutto, da un samurai mercenario (il "ronin" dei film di Kurosawa), capace di maneggiare la spada in modo fulminante. Attorno, una cornice ottocentesca, con geishe che cantano e ballano (alcune, però, travestite, perché hanno vendette da compiere) e un clima in cui, pur con qualche furba spruzzata di umorismo, a predominare è sempre la violenza. Portata, da Kitano, fino al parossismo, con duelli alla spada (senza controfigure) addirittura ossessionanti e con nugoli di sangue versato di continuo cui il digitale si incarica di dare aspetti quasi surreali. Molto stile - narrativo e visivo —, immagini di impatto forte e quel protagonista in mezzo cui Kitano attore presta, più del solito, la sua maschera distaccata e impassibile, grondante però di inarrestabili impeti interiori. Concludendo in gloria, secondo la tradizione della serie televisiva alla base, ma rileggendola con un tip tap collettivo, alla giapponese, che sulla coreografia privilegia un gusto dichiarato per la beffa. Nonostante si trionfi sui "cattivi". Un film splendente, che ci risarcisce dei vuoti fragori di «Matrix».