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di FRANCESCO CARELLA UN NUOVO spettro si aggira per l'Occidente: la decadenza.

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Eppure, a Ovest del mondo, le condizioni di vita sono migliorate senza eguali nel passato, il lungo cammino per l'affrancamento dalla fatica e dalla povertà può dirsi compiuto, per tacere dell'emancipazione materiale raggiunta dai singoli individui. Qual è l'origine di tanto pessimismo ? E' l'interrogativo che si pone Oliver Bennet nel suo nuovo libro, «Il pessimismo culturale», appena uscito in Italia per i tipi de «Il Mulino». Nel cercare le risposte, lo storico inglese non fa sconti e sfila dal proprio arco molte frecce acuminate, lanciandole contro il nutrito popolo degli «apocalittici». «Il punto di partenza dei pessimisti - spiega a "Il Tempo" il direttore del Centre for Cultural Policy dell'Università di Warwick - è sempre rappresentato dalla convinzione che la cultura di un Paese sia alle prese con un processo di decadenza inarrestabile. In tal senso, come si può ben capire, la responsabilità degli intellettuali non è di poco conto». A tal proposito, facciamo notare che Francis Fukuyama non si stanca di ripetere «che è stato il Novecento a rendere tutti pessimisti riguardo alla storia». Bennet risponde secco: «Sono d'accordo, il "secolo breve" è stato terribile, pieno di dolore, ma né il pessimismo culturale né le teorie della decadenza sono un fatto nuovo. Occorre sapere che non abbiamo dovuto attendere il XX secolo o gli allarmi dei pensatori postmoderni, per vedere comparire gli araldi della disperazione. Già Esiodo, verso la fine dell'VIII secolo prima di Cristo, aveva suddiviso la storia del mondo in cinque fasi, iniziando da un'età dell'oro e finendo con un'età del ferro. Egli era convinto di vivere nell'ultima fase, la peggiore, al termine della quale l'intero ciclo sarebbe ricominciato. Lo stesso Seneca - continua - attendeva con stoico fatalismo l'annientamento del suo mondo e di tutto ciò che ne faceva parte». Abbiamo la sensazione che si sia partiti da molto lontano. Giriamo l'osservazione al nostro interlocutore. «Le scorciatoie non sono possibili - replica il professore - Tenga conto che l'idea di decadenza non è appannaggio del solo mondo classico, ma occupa un posto centrale anche nella tradizione giudaico-cristiana. L'idea di decadenza è parte integrante della teleologia giudaico - cristiana e ha lasciato il segno nella cultura dell'Occidente. Del resto, che cos'è la cacciata dal Paradiso se non un'idea di decadenza? Il Medioevo non ha mai avanzato dubbi sull'ineluttabilità dell'Apocalisse. Successivamente, con gli adattamenti operati dall'abate Gioacchino da Fiore, l'Apocalisse fu calata nella storia. Da qui nacque quell'associazione, fra distruzione apocalittica e ricostruzione politica, che ritroviamo fino alla nostra epoca». Vuole dire che c'è un filo che unisce Gioacchino da Fiore e Carlo Marx ? «Direi proprio di sì - risponde Bennet. La visione marxiana di un mondo borghese corrotto e decadente, che viene abbattuto dal proletariato in nome del comunismo, ha delle innegabili assonanze apocalittiche. Detto questo, però, deve essere chiaro che oggi abbiamo problemi nuovi da affrontare. Il mondo postmoderno ha sollevato una grande varietà di "narrazioni di decadenza" che pongono questioni inquietanti. Io non nego l'importanza di questi allarmi- conclude - ma mi limito a ricordare che il pessimismo dei nostri anni, il pessimismo della modernità, può essere solo la manifestazione più recente di un fenomeno storico ricorrente. Essere consapevoli di tutto questo aiuta ad affrontare con metodo razionale, senza catastrofismi, le gravi questioni che abbiamo davanti».

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