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Il sarto napoletano di D'Alema finisce sul Washington Post

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L'ho convinto a preferite quelle a tre». Così Luigi Cimmino, il sarto napoletano che cuce «tutto a mano», spiega al «Washington Post» come ha portato alcuni anni fa Massimo D'Alema ad abbandonare le giacche sportive. Dell'artigiano partenopeo il quotidiano americano traccia un ritratto a tutto tondo, raccontando di come sia possibile vederlo lavorare di ago e filo sul balcone del suo laboratorio, in un vicoletto nei pressi di piazza Carolina a Chiaia. Un sarto che lavora ancora a mano, si legge, con la vecchia Singer confinata in un angoletto della sala d'aspetto che serve a Cimmino solo per le cuciture dei pantaloni. Che acquista i tessuti personalmente, siano inglesi, francesi o italiani, che prende le misure e traccia il modello sulla stoffa, imbastisce e cuce, attacca i bottoni e rifinisce le asole, e che fa tutto da solo. «Voglio dare qualcosa di mio, qualcosa di me stesso - sottolinea l'artigiano - lasciar montare un abito a un lavorante è una cosa da imprenditore. Io non sono un businessman, sono un sarto». Una volta a Napoli la figura del sarto era piuttosto comune, spiega il Washington Post, e indispensabile per quello che gli italiani considerano «una bella figura» (in italiano nel testo), la preoccupazione di apparire eleganti e ben vestiti. Cimmino ricorda così di quando, negli anni '70, via Chiaia era un susseguirsi di botteghe di sarti, ma sottolinea anche che l'arte napoletana dell'abito su misura divenne famosa ai tempi di Orazio Nelson. E lo stile di un abito da uomo, «Neaples style», si vede «da un miglio di distanza», dice mostrando un modello degli anni '30 gelosamente custodito in un armadio: spalle morbide senza spalline, risvolti ampi e «alti», giacca accostata ma con un taglio particolare delle maniche che lascia liberi i movimenti. I suoi clienti, si legge ancora sul quotidiano americano, non prendono appuntamento: «sto in negozio 12 ore al giorno - dice Cimmino - possono venire la mattina presto, prima di andare in ufficio, o la sera tardi, quando stanno tornando a casa. L'appuntamento non fa parte della nostra cultura. È un difetto di Napoli».

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