Il postmoderno cattura il mondo
Forse la ragione primaria risiede nell'esigenza popolare di leggere un romanzo «vero», con tanto di protagonista, scritto in stile vittoriano, e ovunque in classifica nel mondo. È già pronto il regista di Eminem a tradurlo in film e Nicole Kidman a interpretare la parte di Sugar, diciannovenne prostitute nella Londra del secondo Ottocento, per ripetere il successo di «Ritratto di signora», pellicola-cult tratta dal romanzo di Henry James. Ma cerchiamo di accostarci con circospezione a questo singolare personaggio d'altri tempi, vittima e protagonista della tremenda Mrs. Castaway, tenutaria di un affollato bordello di Londra attorno all'anno 1875. È concupita da tutti in città, ma sono in pochi a potersi permettere il lusso di avvicinarla. Inoltre, lei, Sugar, non ha gran voglia di tirare avanti con questa vita persa e smarrita, cerca la redenzione, vuole salvare l'anima dal fango delle strade, dai vicoli infami e infamanti di una Londra periferica e stravolta, descritta con sapiente magistero, c'è da dire, da questo scrittore poco più che quarantenne, all'improvviso folgorato da un successo imprevisto e imprevedibile. Ma andiamo un po' più vicino a questo strano narratore e al suo ancor più strano personaggio. È lui a guidare il lettore per un inesausto fluire di pagine fitte: «Attento. Tieni la testa a posto. Ti servirà. La città in cui ti conduco è vasta e intricata e tu non ci sei mai stato prima. Puoi immaginare, da altre storie che hai letto, di conoscerla bene, ma quella storie ti hanno illuso, accogliendoti come un amico, trattandoti come se fossi uno del posto. La verità è che tu sei un alieno, in tutto e per tutto, arrivato da un altro tempo e da un altro luogo». La stessa percezione di ansia, che si prova quando si finisce nei meandri della perdizione e dell'ambiguo, vive il lettore, reso complice da una scrittura rischiosamente accattivante e scabrosa al contempo, fin quando lo scenario, in modo fulmineo, si sposta, ci si trasferisce nell'alta società vittoriana, dove appaiono, in una intimità decisamente violata, singolari personaggi di quel mondo, di quell'epoca, ricostruiti con forte sapienza evocativa, da un Faber in grande forma, soprattutto essenziale e semplice nel delineare volti, oggetti, abiti e quant'altro di nobile appartenenza. C'è Rackam, giovane erede di una grande fortuna, e fortunato amante di Sugar, e ancora sua moglie, Agnes, angelicata di sapore stilnovistico e molto infelice. Eccolo Rackam, colto in modo efficace dal sorprendente identikit di Faber: «E gli uomini? Come si comportano? L'espressione di William Rackam è di addolorato sbigottimento; senza dubbio la morte della moglie è una ferita di cui non ha ancora apprezzato appieno la gravità». E giù con queste osservazioni fra l'acuto e l'ironico che accrescono una tavolozza già ricca di pennellate realistiche. Ma non è il realismo che noi conosciamo per triste avventura postbellica in Italia: è un radicarsi nel reticolo dell'uomo attraverso una precisa azione filtrante nell'io dell'individuo a caccia di percezioni strane e comuni: come se l'io narrante avesse sul collo il fiato del lettore, senza mai riuscire a liberarsene, e al contempo si compiacesse di sentirlo, di percorrere con lui strade, stanze fetide, abiti, cibi, odori, sapori, in un bailamme nel quale Faber si diverte a intricare il corresponsabile — perché di questo si tratta — in lotta furiosa con le interminabili pagine del romanzo... Un critico inglese ha scritto che questo romanzo «è ancora meglio del sesso». Crediamogli a scatola chiusa. Certo è che questo libro sorprende e suggestiona diabolicamente, in virtù di una prosa che risponde perfettamente ai criteri del più astut