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di MARCO HOMEDES A 61 anni Isabel Allende torna a immergersi nelle fantasie dell'infanzia ...

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50euro). In questo secondo romanzo della trilogia che racconta le avventure della nonna Kate Cold - nella quale molti vedono un alter ego della scrittrice cilena - e di suo nipote Alexander, i due protagonisti raggiungono un regno proibito dell'Asia dove affrontano innumerevoli peripezie. «Il regno del drago d'oro» parla di spiritualità buddista. Ha voluto presentare una fede più pura in un momento in cui il fondamentalismo religioso si esprime in forme così brutali, dall'11 settembre in poi? «Senza dubbio il libro vuole dire la sua su una questione calda come il fondamentalismo. "La città delle bestie", il primo romanzo della mia trilogia, aveva come tema di fondo l'ecologia. Questo invece è sulla spiritualità, su un approccio più puro ed essenziale, non fondamentalista, ai valori dello spirito. Il terzo libro, che s'intitolerà "Il bosco dei pigmei", parlerà della pace. Sono tre argomenti così fondamentali nella nostra vita oggi, che era difficile evitarli». Ma i suoi critici l'accusano proprio di scrivere libri troppo incentrati sull'attualità. E di farlo per vendere di più. «Vede, io ho la deformazione professionale del giornalista, sono portata a interessarmi molto di quello che accade nel mondo, e poi a volte alcune questioni sono talmente nell'aria, che non si può non rimanerne contagiati. Inoltre ho tre nipotini, perciò so bene quello che interessa ai bambini e naturalmente ne tengo conto nei miei libri. Io non miro a scrivere best-sellers, ho la fortuna che i miei romanzi si vendano più o meno bene, benché non faccia nulla di premeditato perché ciò avvenga. Se così non fosse, chiunque potrebbe scrivere un best-seller, basterebbe trasferire in un libro quello che ci raccontano i quotidiani». Le dà fastidio essere paragonata a Joanne K. Rowling, la creatrice di Harry Potter? «Magari sapessi scrivere come lei! Harry Potter ha aperto uno spazio. Prima di lui eravamo convinti che i bambini di oggi non leggessero più, adesso invece sugli autobus si vedono mocciosi di otto anni divorare d'un fiato un librone di ottocento pagine. Ormai i genitori, i maestri e gli editori hanno capito che i bambini leggono se si offre loro quello che desiderano, e non delle noiose tiritere scritte un secolo fa». La sua trilogia è ambientata prima nella foresta amazzonica, poi sull'Himalaya e infine in Africa Equatoriale, tutti luoghi in cui la globalizzazione non è ancora penetrata. E il personaggio "cattivo" ricorda molto Bill Gates... «Il protagonista, Alexander Cold, è un bambino della California che, come tanti piccoli americani, non sa che al di là del suo villaggio esiste il mondo. Gli Stati Uniti sono un Paese molto provinciale, dove del resto del pianeta non si sa nulla, a parte le zone nelle quali l'esercito americano conduce una guerra. Ho voluto far capire agli americani che non tutti, sulla Terra, vivono con un cellulare in mano, che l'umanità è molto più varia. Il materialismo è giunto a una tale saturazione che i giovani reagiranno: presto ci sarà un movimento tipo quello degli hippies, ecologico e spirituale». L'anno scorso, quando il suo nome fu inserito fra i candidati al premio Nobel, in Cile scoppiò un'accesa polemica a proposito delle sue doti di narratrice. «Sono state dette cose orribili su di me, ma sarebbe accaduto lo stesso per qualsiasi altro scrittore. Nel mio paese chiunque emerga un po' sugli altri, a meno che non sia un calciatore, viene guardato male. Se le cose ti vanno bene dicono che lavori solo per i soldi, se guadagni ti accusano di essere un ladro, se non guadagni sei un fallito... È la mentalità nazionale». È anche per questo che molti scrittori che lasciarono il Cile al tempo della dittatura hanno prolungato il loro esilio anche dopo il ritorno della democrazia? «Il Cile maltratta i suoi figli. Gabriela Mistral ha passato quasi tutta la sua vita all'estero, Pablo Neruda una gran parte, José Donoso anche, e se ne andò molto tempo prima del gol

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