«Voglio la Kidman ancora in due film»
Potrei farlo su Roma, ho visto tutti i film di Fellini. Un Paese che mi fa un po' paura, credo siate troppo naturali per me, troppo esseri umani». Ironico e tagliente come al solito, Lars Von Trier, ieri in collegamento satellitare con Roma (lui si trovava negli studi di produzione di Hvidovre a 25 km da Copenaghen), per una video conferenza con la stampa italiana, ha voluto dare ancora una volta l'immagine creativa ed originale, che tutti hanno imparato a conoscere. Il suo è considerato un cinema d'avanguardia, molto simbolico e di grande intensità emotiva. Presentato a Cannes dove non ha preso neanche un premio, osannato dalla critica, «Dogville» (nella foto una scena del film con Nicole Kidman) sarà nelle sale italiane domani distribuito dalla Medusa. La storia della bellissima fuggitiva Grace, alias Nicole Kidman, inseguita da un gruppo di gangster, che arriva in una sperduta cittadina, tra le Montagne Rocciose. «Dogville è ambientato in America, ma è solo l'America come la vedo io. Non è un film scientifico o storico» ha voluto sottolineare il regista danese ricordando forse le critiche avute dai giornalisti americani per «Dancer in the Dark» (Palma d'oro a Cannes) di aver fatto un film sugli Stati Uniti senza esserci mai stato. Sarà per questo che ha messo in campo la nuova trilogia, «Usa-land of opportunities» di cui Dogville è la prima pellicola. Ha rivelato anche che il prossimo tema sarà quello della schiavitù. Ci sono già gli altri titoli. «Manderlay» attualmente in pre-produzione e «Washington». La presenza di Grace, la sua evoluzione come donna ed essere umano, sarà il filo rosso della trilogia - annuncia Von Trier - Sarà ancora la Kidman ad intepretarla, impegni permettendo ovviamente, la parte l'ho scritta per lei». Non teme che un film così fortemente teatrale possa piacere poco ai cinefili? «Mi auguro fortemente di deludere qualcuno - risponde il cineasta - La delusione è molto importante per apprezzare un film. Io vedendo Barry Lyndon la prima volta mi sono addormentato, ora è il mio preferito. Occorre dargli una seconda chance e tornare a rivederlo. Solo così lo si può scoprire. A me succede spesso». A proposito della sua opera dice di essersi ispirato a Bertolt Brecht, a Kafka ed ha ammesso di aver usato anche il computer per gli effetti speciali. «La mia teoria è che se ti dimentichi velocemente che non ci sono le case o altro, questo ti lascia immaginare la città, ma cosa ancora più importante ti fa concentrare sulle persone».