di MAURIZIO MARINI LA MODERNA filologia e le indagini scientifiche fanno ormai parte della ...
Questi, sovente, nel dubbio negano indiscriminatamente i risultati degli studi precedenti, talvolta con giustificazione e merito, facendo, quindi, giustizia di tante attribuzioni tradizionali che il tempo e gl'interessi hanno gonfiato più o meno ad arte. Non di rado, tuttavia, si è operato riduttivamente nei confronti di autentici capolavori. Non starò a ricordare i casi di pittori come Giorgione o Leonardo, i quali hanno rischiato di passare da cataloghi zeppi e pletorici al vuoto assoluto! Proprio Leonardo, di cui si contestò perfino la paternità della Gioconda (!), è tornato alla ribalta, col prestito dell'Ermitage di San Pietroburgo, della sua Madonna che allatta il Bambino, detta «Litta» dal nome della famiglia milanese che la ebbe fino al 1864, cedendola l'anno seguente allo Zar. Il dipinto (cm 42x33) è eseguito a tempera grassa su tavola, ma, con le tecniche dell'epoca, dopo l'ingresso all'Ermitage, il colore venne trasportato su tela. Questo capolavoro ha subito da allora un susseguirsi di alterne fortune critiche, giunte talvolta a espugnarlo dal «corpus» degli originali di Leonardo: uno strabismo attribuzionistico che sembrava superato in tutti gli studi più recenti e qualificati sul grande artista, ma che, in occasione della sua esposizione da domani al 10 dicembre al Quirinale, ha trovato nuovo spazio mediatico. A prescindere che non si capisce la costrizione di una mostra al Quirinale, luogo deputato ad altri usi, dove la nevrosi della sicurezza toglie il gusto della visione per cui sarebbe stato auspicabile uno spazio fruitivo meno nevrotizzante, più accessibile al pubblico, agli studiosi o ai semplici amanti d'arte. In tal senso non mi pare che a Roma manchino i musei, ben protetti e sicuri, anche per un Leonardo! Per tornare quindi alla spaesata «Madonna Litta», non si possono non constatare (al di là dei danni subiti per pretese conservative) i vertici qualitativi e concettuali che vi ha raggiunto il suo autore. La scena, all'interno di una «camera ombrosa», rappresenta uno dei momenti universali della storia esistenziale: una madre che allatta il proprio figlio chinandosi protettiva su di lui. Un amore e un gesto che assurgono a valori emblematici e assoluti per tutta l'umanità, travalicando l'essenza del Bambino come figlio di Dio. In questo momento, come tutti i neonati, ha bisogno di calore e protezione. Solo il cardellino, che gli s'intravede nella mano sinistra, allude al dolore del Golgota che però, per adesso, è ancora lontano. Una parabola nobile, resa in un clima di struggente malinconia peculiare di Leonardo. Questi trasfigura la quotidianità dell'episodio nella dimensione di un esotismo regale tramite la ricercata acconciatura dei capelli di Maria, annodati nella seta dai filamenti d'oro. Nel 1483 e, nel «Codice Atlantico», Leonardo stesso, a Firenze, menziona una sua «Madonna finita» e «un'altra quasi in profilo» che potrebbe essere questa, non essendo note altre sue «Madonne in profilo». Per metodo l'artista operava lentamente, anche perché coinvolto in molteplici interessi. È possibile (come è stato ipotizzato, a mio avviso, giustamente) che abbia recato il dipinto con sé a Milano, anche se non parrebbe finito da altri (neanche dal suo «alter ego» Boltraffio). Nel 1543 la tavola è verosimilmente a Venezia, nella raccolta di Marcello Contarini, dove la ricorda il diarista Marco Antonio Michiel: «un quadretto, d'un piede o poco più, de una Nostra Donna, a mezza figura, che dà latte al fanciullo, colorita de man de Leonardo da Vinci, opera di gran forza e molto finita» (certamente al confronto con altre composizioni leonardesche).