Al timone di un'azienda per meriti e non per Dna
È certamente questo il caso di Barbara Donadon, diventata direttore generale di Altana SpA - azienda di abbigliamento creata da Marina Salamon una ventina d'anni fa - per meriti guadagnati sul campo e non per legami di sangue. Racconta questa insolita storia la stessa Salamon perchè - spiega - «è sintomatica di un nuovo modo di gestire le aziende e apre le porte a nuovi ruoli per il lavoro femminile». «Altana è stata la mia prima creatura, l'ho fondata quando avevo soltanto 23 anni, l'ho controllata da vicino per due decenni e un anno fa ho capito che era arrivato il momento di voltare pagina. Al ritorno dalle ferie, durante una riunione, Barbara, che lavorava con me da 12 anni, all'inizio come assistente di direzione, poi prendendo una sua strada e facendo pian piano carriera nel ramo commerciale, mi ha fatto delle critiche, intelligenti, forti. Ha detto che l'azienda aveva bisogno di avere un punto di riferimento costante (io le dedicavo alcuni giorni della settimana). In quel momento mi sono resa conto che lei avrebbe potuto guidare l'impresa meglio di me e ho deciso. Una decisione presa d'istinto, da sola, in cinque minuti, le parole mi sono uscite di bocca quasi senza che me ne accorgessi». E Barbara è diventata direttore generale (ha rifiutato per ora la carica di amministratore delegato: «non mi interessano tanto le cariche quanto i risultati»). A lei Marina Salamon ha passato il testimone affidandole potere decisionale e piena autonomia di gestione. «Ho scelto di trasferire su di lei la responsabilità di governo dell'azienda poichè non credo più al modo di gestire tradizionale, da parte dei fondatori delle piccole o medie aziende del Nord Est e voglio attuare una 'trasmissione ereditarià, non quando avrò l'età della pensione, ma già oggi a 45 anni». I cinque figli di Marina sono ancora troppo giovani per contestare, eventualmente, la decisione di affidare a un timoniere esterno la guida di un'azienda di famiglia, ma anche se fossero già maturi per debuttare nel business, cambierebbe poco. «Da quando sono nati - assicura l'imprenditrice veneta - diciamo loro che non beccheranno nulla. Cerchiamo di proteggerli dall'uso del denaro. Sono molto spaventata dal capitalismo familiare che si associa al privilegio delle corporazioni. Credo che i nostri figli avranno un futuro più dignitoso se riusciranno a diventare bravi in qualche mestiere invece di crescere con il complesso dei genitori o con la convinzione che tutto è dovuto». Del passo indietro fatto un anno fa Marina non si è mai pentita. «Anzi. Mi emoziona e sorprende - assicura - vedere l'azienda crescere anche senza di me, accorgermi del cambio di prospettiva (Barbara ha otto anni meno di me e quindi c'è stato anche un salto generazionale) e constatare che per molti aspetti lei è più brava. Sta attuando cambiamenti molto positivi rispetto al modo di organizzare il lavoro impostato da me e io sono stimolata dal confronto con lei e dalla continua possibilità di riprogettare anche il mio ruolo». Stesso entusiasmo e grinta da parte della nuova nocchiera, 37enne, sposata, mamma di un bambino, figlia di imprenditori che ha rinunciato a una facile scrivania di famiglia per mettersi alla prova e farcela da sola. «Quando durante quella fatidica riunione ho parlato della necessità di avere un punto di riferimento fisso pensavo a qualcuno dall'esterno. Quando Marina mi ha fatto la proposta ci ho pensato su un attimo e poi le ho detto: 'se mi dai carta bianca, proviamò. Da quel momento Marina ha delegato tutta la gestione, ho riorganizzato l'azienda, ho assunto le pedine che mi mancavano e quando ho capito che si stava marciando bene ho cominciato a lanciare nuovi progetti».