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di NICOLA AMOROSO UN'OMBRA fuggitiva ferisce di malinconia il narratore di «Un amore a Venezia» ...

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Paolo, che l'ama in silenzio, è il «brutto anatroccolo» confortato dalla lettura di Leopoldi. Verniciata di una diffusa tristezza che si specchia nel «guscio vuoto» della Venezia del secondo dopoguerra, la pagina stabilisce, con un ritmo avvolgente di musica, i legami più impalpabili tra le esperienze che il giovane va maturando e il transito di volti veri e di fantasmi, di paesaggi larghi di risonanze e di altri figurati dalla crudeltà dell'immaginazione. Il globo di perdite (la morte dei genitori, la distanza da Anna, presa da crisi mistiche) sembra isolare Paolo in un irrimediato trasognamento. Lavora come portiere di notte in un hotel, studia a Ca' Foscari, ma, «blocco di ghiaccio», soffre per la condotta sfuggente dell'amata, per il suo «sguardo da strega». Volubile, «odiosa e radiosa», lei si abbandona a euforie mondane da cui esce sconvolta. Ormai automa senza stimoli, sparisce d'improvviso per ricomparire al fianco del tanto ammirato Ernest Hemingway e per finire in un «interminabile cicaleccio» malevolo, in un feuilleton in cui di due sono «Il Lupo e la Principessa». Il dolore per la «scandalosa avventura», raccontata peraltro dallo spregiudicato scrittore americano in un mediocre romanzo, non impedisce tuttavia al timido Paolo di conseguire una brillante affermazione nel giornalismo. Svelta, comunicativa, con un che di squillante e, insieme, con un sordo rintocco di incombente dramma, la narrazione raccoglie tutti i fili (anche il mimetizzato ritratto di una società culturale) intorno a Paolo che naviga ai «margini» in un grande rimpianto, mentre passano gli anni e la «Principessa», ritrovata a Parigi, gli mostra un sorriso «glassato di humour». Ancora una volta i due sono lontani da una «trama cucita su misura per il lieto fine». Lei sposa un architetto, ha figli e scrive un mistificante diario, «piccole biografie di un fallimento esistenziale». Lui porta di sé, per l'intera sua infelice scherma d'amore, l'idea di un «fantaccino in ritirata», appagato di guardare il mondo con gli occhi della donna. Ma sono occhi, quelli verde-oro di Anna, che non hanno più la curiosità del mondo. Ha una sottile vocazione lirica e un dolceamare gusto di deriva questa storia di personaggi in fuga da se stessi: Anna, «evasa» da un affresco di Giotto ed espropriata della propria identità da chi, come Hemingway conosce la lusinga e l'inganno; Paolo, acquattato in un cantuccio di autoesclusione e inadeguato a fare la mossa giusta. Li accoglie un racconto che affida la sua desolata ottica a una lenticolare e favolosa cronaca di sentimenti. Nantas Salvalaggio «Un amore a Venezia» Piemme 222 pagine, 12.90 euro

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