di NANTAS SALVALAGGIO «È UN BEL libro per bambini, ma non so se lo capiranno anche i grandi».
Humour britannico? O sottile understatement? Niente di tutto questo. La funzionaria della famosa casa editrice, esperta di psicologia infantile, era convinta che «il vertice dell'intelligenza gli uomini lo toccano intorno ai quindici anni». Dopo di che «si devono rassegnare a una lenta decadenza». A suffragio della sua tesi, citava le adolescenze geniali di Mozart, Rimbaud, Giotto. «Prendiamo Zanna Bianca di Jack London - diceva - oppure I Viaggi di Gulliver di Swift: le emozioni che questi romanzi possono suscitare su un ragazzo di dieci-dodici anni non sono minimamente paragonabili a quelle che può provare un uomo maturo». Credo che la mia amica inglese approverebbe questa iniziativa del «Tempo», la Biblioteca dei Ragazzi, dopo tanti libri diffusi per «Adulti». E la approverebbe per la semplice ragione che «i grandi libri sono scritti per i teen-agers». Basta pensare all'Iliade, all'Odissea, all'Amleto. L'età giusta per emozionarsi al duello fra Ettore e Achille, o al ritorno di Ulisse a Itaca, è quella dei pantaloni corti. Ricordo di aver visto in tivù l'Amleto di Shakespeare, interpretato da Laurence Olivier, insieme alla figlia della mia cameriera, anni dodici. Al calar del sipario, dopo la morte in duello di Amleto, lei sintetizzò in poche parole il senso della tragedia: «Povero Amleto, con una madre così!» Vedo con gioia che nella lista dei libri per ragazzi ci sono quelli che hanno «affrescato» la mia infanzia: da Zanna Bianca, del mio prediletto London, autodidatta e avventuriero, al Viaggio intorno alla Terra, di Jules Verne. Ormai vecchio, a un reporter che gli chiedeva per chi scrivesse, Verne rispose: «Per i miei coetanei, gli eterni ragazzi». Il dono speciale di questo romanziere è di nascondere messaggi e significati complessi dietro una scrittura limpida e accessibile a tutti. A un altro reporter che voleva un parere sugli scrittori difficili e tenebrosi, Verne replicò con questo giudizio tranciante: «Chi si esprime in uno stile oscuro non ha le idee chiare». A me piacerebbe che questi grandi libri, da Moby Dick alle Avventure di Tom Sawyer, fossero letti in classe, seconda o terza media; e poi discussi dai professori insieme agli alunni. Così si faceva al tempo della mia lontana gioventù. Ricordo con speciale gratitudine la mia insegnante di italiano, che in terza ginnasio ci assegnò questo tema: «Un libro che non sei riuscito a dimenticare: dimmi perché». E io buttai giù, nell'ora che ci era consentita, la mia interpretazione di Pinocchio. Ai miei occhi, il celebre burattino ricordava Gesù, per via della sua vivace e perfino turbolenta adolescenza. Mi piaceva l'idea che fosse andato al Tempio con una verga, e da lì avesse cacciato i mercanti e i farisei. Due giorni più tardi, la professoressa tornò in classe con i compiti corretti; e arrivata all'ultimo foglio, che era il mio, disse: «Qui c'è un'idea poco ortodossa, ma nuova. Tra di voi c'è uno scrittore in erba». Non potevo crederci. Anche perché temevo, con la mia storia bislacca, di meritare un pessimo voto. E invece quell'elogio della mia professoressa mi liberò da un complesso di inferiorità che aveva avvelenato la mia infanzia. Da quel giorno non ebbi più paura delle mie idee, smisi di balbettare e di arrossire in pubblico. Fu un piccolo miracolo, ne convengo: di quelli che può fare solo la grande letteratura.