Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

di ALDO COSTA I MONACI dell'abbazia di Casamari sulla neve, Bernard Berenson davanti a un quadro ...

default_image

  • a
  • a
  • a

È l'Italia negli scatti di David Lees, anglofiorentino e figlio di cotanto padre (ovvero Gordon Craig, il celeberrimo drammaturgo) e di altrettanto ingombrante madre (la poetessa Dorothy Nevile Lees). David, una vita trascorsa nel Bel Paese, è stato uno dei fotografi di riferimento dell'editoria Usa. Per cinque lustri, poi, i suoi scatti hanno campeggiato su Life, la celebre rivista illustrata. E «L'Italia nelle fotografie di Life» è la mostra allestita fino al prossimo 30 novembre alla Galleria degli Uffizi di Firenze. Lees, nato nel '16, svaria dal dopoguerra agli anni Settanta. Racconta per immagini arte e moda, industra e tradizioni popolari. E ritaglia l'idea dello Stivale per l'immaginario stelle e strisce. Firma l'esposizione Cosimo Chiarelli, docente di storia della fotografia all'università di Pisa, che dallo sterminato archivio di Lees ha selezionato circa 130 immagini in bianco e nero e a colori stampate in medio e grande formato. Ecco la cronaca, con il disastro del Vajont e i funerali di papa Giovanni nel '63; l'alluvione di Firenze nel '66, il pontificato di Paolo VI che chiamava Lees «l'inglese fiorentino». Ed ecco i ritratti, sempre abilmente costruiti, dei grandi nomi dell'industria (Gianni Agnelli, Adriano Olivetti, Enrico Piaggio), della moda (Armani, Pucci, Ferragamo) e della cultura (Berenson, Pound, Montale, Fellini). Il rigore di Lees, la sua ricerca di una lucida espressività sono lontani dalle tendenze del tempo dominato da fotoreporters impegnati e paparazzi, e forse per questo non hanno ricevuto finora giusti riconoscimenti. Ma sono proprio gli elementi stilistici che ne fanno un precursore delle più recenti tendenze della nuova documentazione, avvicinando le sue opere a quelle di più giovani maestri come Thomas Struth o Andreas Gursky. «La sapienza del mestiere, l'amore per l'arte, l'identificazione totale del maestro con l'oggetto del suo lavoro non potevano essere rappresentati con intelligenza ed efficacia più grandi», dice Antonio Paolucci, sovrintendente del polo museale fiorentino, di Lees. L'omaggio di uno studioso d'arte a un fotografo d'arte.

Dai blog