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Poetessa noire nel cuore della Grande Mela

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E naturalmente Bob Dylan. Un'icona del rock, viva e vegeta come gli amici Lou e Bob mentre gli altri se ne sono andati giovani, miti ormai solo nel ricordo. Patricia Lee Smith da Chicago ma cresciuta a Pitman (New Yersey) approda nella Grande Mela nel 1967. Si arrangia con piccoli lavori e dorme dove capitava. Ma intanto scrive poesie. Conobbe Reed e Dylan (che, dopo un concerto, le chiede con tono ironico: «Ci sono poeti in giro?». E lei gli risponde, fredda: «La poesia è morta») e grazie a loro entra nel giro dell'underground newyorkese e conosce Andy Warhol e Sam Shepard. Nel '69 prima apparizione in pubblico nella commedia «Femme fatale». Ma lei fa l'uomo. Intanto scrive i testi per il complesso dei Blue Oyster Cult del compagno Allen Lanier, ha una relazione con il chitarrista dei television Tom Verlaine. Il primo singolo che riesce a pubblicare è un omaggio a un altro idolo, il Jimi Hendrix di «Hey Joe». Mentre nel mondo furoreggia già il punk nel 1975 arriva il suo primo album, «Horses». Michel Stipe, cantante dei Rem che diventerà suo grande amico, racconterà poi di esser rimasto fulminato dall'ascolto di quelle canzoni. Un anno dopo esce «Radio Ethiopia». Il titolo è un omaggio a Rimbaud, poeta maledetto cui Patti Smith fa riferimento nei cupi testi delle canzoni. L'Etiopia fu la sua seconda patria. È del '78, invece, il suo capolavoro «Easter», trascinato dall'hit «Because The Night», scritta in collaborazione con Bruce Springsteen, seguito dalmeno riuscito «Wave» che però offre la bella «Frederick» dedicata al marito Fred che morirà poco dopo. Dopo la lunga sosta negli anni '80 alcuni dischi meno riusciti e, per chi vuole avvicinarsi alla sua musica, la bella raccolta «Land» uscita lo scorso anno.

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