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IL MITICO sintonizzatore VCS3 di «The Dark Side of the Moon», le maschere di scena per i concerti di ...

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Per gli aficionados è un'occasione unica: ecco il leggendario gong di «Set the Controls of the Heart of the Sun», uno degli enormi porcellini gonfiabili per la tournee dell'album «Animals», l'organo Hammond che rese epico un concerto del 1971 a Pompei, le grosse teste metalliche di «The Division Bell», il fantasmagorico «Mirror Ball» per il finale di «The Dark Side of the Moon». La mostra «Pink Floyd Interstellar» (aperta fino al 25 gennaio del 2004) permette di rivisitare tutto il complesso universo di una band di dinosauri del rock sulla breccia dalla metà degli Anni Sessanta e ancora oggi su piazza malgrado crisi, defezioni, tragedie. Alla Citè de la Musique, nel parco della Villette, hanno fatto le cose davvero in grande, con l'ambizione di ricostruire nel modo più esauriente possibile la traiettoria di un gruppo precursore dello «space rock» e inventore di una musica sperimentale di continuo rinnovata. La mostra coincide tra l'altro con i trent'anni di uno degli album più importanti e rivoluzionari della band: «The Dark Side of the Moon». Un lungo corridoio cupo con degli oblò ai lati costituisce la spina dorsale dell'esposizione e serve da percorso obbligato per trasportare il visitatore attraverso le varie tappe dei Pink Floyd, dai primi album («The Piper at The Gates of Dawn», «A saucerful of Secrets») fino agli ultimi degli Anni Novanta («The Division Bell», «Pulse»). Il percorso non manca di celebrare il genio effimero di Syd Barrett, il leggendario chitarrista caduto nel gorgo della schizofrenia per gli eccessi di droga e sostituito da David Gilmour. E mette bene in risalto il profondo, spietato, corrosivo pessimismo tutto british del gruppo, passato senza posa di successo in successo dopo la nascita trentanove anni fa nella Swinging London. P. A. L.

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