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di PIRRO DONATI Lunghi e calorosi applausi, fischi e urla di disapprovazione: bella la prima ...

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Causa del pandemonio è Dario Fo che per la sua regia ha riscritto il 25% del libretto, adattando il nuovo testo alla musica con l'ausilio di Philip Gossett, filologo rossiniano e nume tutelare delle edizioni critiche della Fondazione Rossini. Hai voglia a dire, come fa il Nobel, che il nuovo testo è una satira di Carlo X per la cui incoronazione il «Viaggio» fu scritto da Rossini non senza ironia nei confronti del sovrano. Troppo evidenti le allusioni all'attualità politica italiana: evidenza che scatena discussione e contestazione. Non ci piace questo uso della lirica, ma non ci scandalizzeremo: Rossini non è una statua eccellentissima e la sua opera è immortale nella partitura: gli allestimenti hanno vita storica, caduca. Piuttosto la regia in senso stretto fa riflettere: al fine di vitalizzare la staticità del «Viaggio», Fo scatena su una scena in stile neoclassico una vera sarabanda di trovate che convincono solo a metà. Non c'è aria in cui dietro i cantanti, piuttosto statici, non si scateni un trambusto - ingenuità tipica del registi teatrali prestati alla lirica. Ecco mimi, acrobati volanti, volanti oggetti e scenografie, mostri, animali... Tante idee, alcune anche convincenti, che mettono però troppo in secondo piano la musica. Invece proprio sugli interpresti musicali il Carlo Felice ha fatto scelte coraggiose e azzeccate, a partire dal giovane Nicola Luisotti che dirige con tale maturità Rossini, da lui è lecito attendersi grandi cose. Bene il cast con qualche eccezione. I migliori: la Rancatore, Antoniozzi, la Serra e Blake - bello vedere veterani che hanno ancora da dare al teatro -, Brownlee, e si segnala Enrico Mirabelli. Aprire la stagione con il «Viaggio», opera con cast titanico di 12 protagonisti e 6 comprimari è una sfida da cui il Carlo Felice esce a testa alta: andatelo a vedere e ne discuterete l'intera serata (repliche fino al 26/10).

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