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di ADRIANO MAZZOLETTI IL JAZZ, come moltissime altre arti e generi, sta entrando ormai di diritto nei musei.

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In Italia l'unico museo del jazz si trova a Genova nelle sale del Palazzo Ducale ed è visitato settimanalmente da molte persone. Gli Stati Uniti dal canto loro, e non potrebbe essere diversamente visto che la cultura ufficiale sta finalmente prendendo coscienza che il jazz è l'unica forma d'arte musicale autenticamente americana, possiede già diverse istituzioni del genere. La più prestigiosa è quella di New Orleans dove sono conservati reperti importanti fra cui dischi rarissimi, rulli di pianola, cilindri di cera, strumenti musicali, manifesti, partiture e quant'altro. Un altro museo del jazz americano, quello che fa capo alla Smithsonian Institution di Wahington, ha acquisito recentemente alcuni reperti importanti. Il primo di questi è il clarinetto che Artie Shaw utilizzò il 13 dicembre 1938 per l'incisione del suo celebre «Begin the Beguine». Ma il museo sta inseguendo altri "pezzi rari", fra cui la prima tromba periscopica di Dizzy Gillespie e un vestito rosso di Ella Fitzgerald, che andranno ad arricchire il Museum of American History. Ma non solo i musei specializzati stanno spalancando le porte al jazz: anche le grandi università sono alla ricerca di documenti appartenenti a musicisti più o meno celebri. La Tulane University ad esempio ha aperto un settore, dandone la direzione al musicologo Bruce Raeburn, dedicato ai musicisti americani ma di origine italiana che contribuirono nei primi anni del secolo scorso alla creazione del jazz. Insomma gli americani si sono accorti che pionieri del jazz quali Nick La Rocca, Tony Sbarbaro, Leon Roppolo, hanno dato lo stesso contributo alla nascita e alla successiva evoluzione di questa musica, come i loro più celebrati colleghi afro-americani.

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