Tragica passione all'ombra del Quirinale
Tra le sei storie, l'intrigo che costò la vita a una dama di corte della regina Elena
Parla di sei vicende che spaziano in ogni luogo del mondo, mentre una della serie ha per teatro l'Italia, e addirittura il Palazzo del Quirinale. Un funesto intrigo di corte e di lenzuola, che a lungo eccitò la curiosità della gente, fu quello di Giulia Tasca di Cutò, dama dell'aristocrazia palermitana e sposa del senatore Trigona di Sant'Elia. La contessa era al servizio della regina d'Italia Elena. Un pomeriggio fu trovata sgozzata e discinta sul letto della camera n. 8 di una squallida pensione, «Rebecchino», nei sordidi dintorni della stazione Termini. Le era accanto in fin di vita il suo accoltellatore che, commesso il delitto, si era sparato un colpo di pistola alla tempia. L'assassino era il barone siciliano Vincenzo Paternò del Cugno, un tenente di cavalleria tanto ambizioso e spocchioso quanto squattrinato e indebitato. Da un paio d'anni, da quando era cominciata la loro relazione non troppo segreta, il tenente spremeva denaro dalla contessa, innamorata di lui al punto di separarsi dal legittimo ma sessualmente tiepido consorte. Il tenente cominciò a sperare di impossessarsi un giorno della dote che la contessa pensava di riavere dal marito. L'estrema avidità dell'uomo e anche le affettuose esortazioni della regina, indussero Giulia a una maggiore prudenza. Rinviava di continuo gli appuntamenti e diceva di voler troncare la relazione. Una sera il tenente ebbe l'improntitudine di raggiungere Giulia al Quirinale e di apostrofarla violentemente con gli epiteti più offensivi. «Puttana!», le gridò a voce tanto alta che l'ingiuria arrivò anche alle orecchie della regina. Poi girò sui tacchi pronunciando gravi minacce. Lui chiese di vederla ancora una volta, e l'incontro avvenne nel pomeriggio del 3 marzo 1911. Lei sperava di riavere le lettere d'amore che gli aveva scritto. Ma non ci furono che scenate di rabbia che si conclusero tragicamente con un assassino e un tentativo di suicidio. La vicenda diventava di pubblico dominio, e Giolitti, forse maldestramente, consegnò al re quelle lettere che erano state recuperate. Vittorio Emanuele rimase profondamente stupefatto e rattristato nell'apprendere dei rapporti della moglie con Giulia. Un macchiettista partenopeo, Nicola Maldacea, portò in teatro la sapida avventur, intitolandola Il tenentino. Cinzia Tani «Amori crudeli» Mondadori 400 pagine, 18 euro