di GIAN LUIGI RONDI AMORFÙ, di Emanuela Piovano, con Sonia Bergamasco, Ignazio Oliva, ...
e una parafrasi grafica dell'«amour fou» francese da leggersi come un folle amore. Collegando quel «folle» al fatto che la vicenda comincia in una comunità terapeutica per malati di mente dove una giovane psichiatra, Elena, prende a tal segno a cuore le condizioni di un ricoverato, Fausto, da innamorarsene, ricambiata, riuscendo con il suo amore a guarirlo ma poi portandoselo a casa e tenendovelo quasi segregato, nel timore, inconfessato, di perderlo. L'altro, però, prima accetta tutto perché, appassionato di musica, Elena gli offre anche un pianoforte cui dedica con entusiasmo tutte le sue attenzioni, poi comincia a desiderare una propria indipendenza fino a cercarsi un lavoro, mettendo dolorosamente in crisi la donna innamorata sempre più in modo totalmente possessivo. Arriverà la separazione - dopo l'«amour fou», l'amor che fu - e solo come ipotesi vaga ci si lascerà immaginare, più in là, un lieto fine. Ci ha raccontato questo dramma, scrivendolo con Massimo Felisatti, Emanuela Piovano di cui si ricorderà con simpatia un film sulle detenute delle Vallette a Torino, «Le rose blu». Al centro quei due personaggi, la donna troppo in preda alla passione per non capire che opprime, l'uomo felice di quei sentimenti che hanno concorso a guarirlo ma, pur condividendoli, desideroso di conquistarsi, libero, una personalità. Svolti, narrativamente, con intuizioni psicologiche attente e poi rappresentati con un linguaggio cinematografico fortemente incisivo, con immagini spesso molto strette attorno ai protagonisti, fino quasi a soffocarli, e con una cornice attorno evocata con un saldo rilievo figurativo. Basti, per un esempio, quella presentazione, all'inizio, della comunità terapeutica: quasi una coreografia. Degni di note i due interpreti: Sonia Bergamasco, nelle lacerazioni di un amore che soffoca, Ignazio Oliva che, pur grato, tende a liberarsene.