di GIAN LUIGI RONDI AL PRIMO SOFFIO DI VENTO, di Franco Piavoli, con Mariella Frabbris, ...
FRANCO Piavoli, a differenza dei suoi film precedenti che, nelle stesse cifre poetiche, si teneva all'astrazione, come «Il pianeta azzurro», o rivisitavano la mitologia, come «Nostos», o riflettevano sul tempo, come «Voci nel tempo», si concede oggi esclusivamente la cronaca di un giorno d'estate in campagna, in una villa in riva a un fiume. Al centro, una famiglia: un padre dedito ai suoi studi, una madre che fa collages con foglie e fiori, un vecchio nonno nel suo letto, la figlia maggiore intenta a suonare al piano Satie, Poulenc, Ravel, la figlia minore attraversata, nel sole, tra il verde, dai primi turbamenti dell'adolescenza. Mentre, nei campi, alcuni lavoranti africani, mietono il grano e fanno il fieno e una zia vaga nei dintorni chiamando a gran voce un amore perduto. Piavoli segue tutti dalle prime luci del giorno fino all'arrivo della notte. La sola musica è quella che suona al piano la ragazza, mesta, raccolta. I ritmi sono lenti, quasi statici, come sempre. Non essendoci quasi dialoghi, sono le immagini a dir tutto: nelle varie stanze di quella villa dove ciascuno non ha mai contatto con gli altri, chiuso in se stesso, nel suo presente, nei suoi ricordi. Predominano le facce, analizzate (negli interni) solo da vicino. Facce immobili, segnate, eloquenti nel loro mutismo: con cui negli esterni, contrastano la coralità, ripresa invece a distanza, degli africani che parlano solo la loro lingua, e le presenze, rappresentate anche queste da lontano, della ragazzina che vaga «apettando» e della zia che grida, nel vuoto la sua invocazione. Un cinema, ancora una volta, della immobilità, con la possibilità, comunque, di narrare: una intera giornata, appunto, con la storia implicita di una famiglia, e l'analisi precisa, quasi minuziosa, dei singoli caratteri: mostrati, proposti, addirittura ricreati dalla cifra visiva che li sostiene, senza concedere nulla all'affabulazione. Con qualche frattura nel linguaggio (un sogno monocromo del padre che si oppone ai ritmi distesi del resto) e con il rischio, in alcune citazioni (come quella del titolo, ripreso dalle Argonautiche di Apollonio Rodio) di sfiorare la letterarietà. Sempre, comunque, con una autorità e un rigore che fanno accogliere anche questo film tra le opere più significative e conseguenti di Piavoli. Uno dei nostri «poeti solitari». Gli interpreti, non professionisti, ad eccezione di Mariella Fabbris, recitano tutti con un unità di stile.